La lista dei bersagli di al Qaida
Il nome del direttore di Charlie Hebdo faceva parte di una lista di persone da uccidere diffusa da al Qaida, che comprende tra gli altri Salman Rushdie e Ayaan Hirsi Ali
Il nome di Stéphan Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo ucciso mercoledì insieme ad altre 11 persone in un assalto organizzato da fanatici islamisti alla sede del settimanale a Parigi, fa parte di una lista di persone da uccidere pubblicata nel 2013 da Inspire, la rivista in pdf in lingua inglese che si ritiene sia diffusa online da una delle divisioni di al Qaida nella Penisola araba. Per ora non ci sono informazioni sufficienti per dire con certezza che l’attacco contro il giornale satirico francese sia stato realizzato dall’organizzazione terroristica, ma secondo un testimone uno degli assalitori avrebbe urlato “Dite ai media che questa è opera di al Qaida nello Yemen” mentre scappava con il suo complice.
La lista pubblicata da Inspire – e circolata molto online nelle ultime ore – contiene le foto di 9 persone, mostrate sotto la scritta “Ricercati vivi o morti per crimini contro l’Islam”, più i nomi di due donne senza foto. La rivista mostra anche l’immagine di uno dei “ricercati” con una pistola che gli spara alla tempia e con lo slogan ”Yes we can”, lo stesso slogan che Barack Obama utilizzò per la sua campagna elettorale nel 2008 per le presidenziali degli Stati Uniti. Un’altra frase dice “Un proiettile al giorno toglie l’infedele di torno: difendi il profeta Maometto e che la pace sia con Lui”.
Oltre a Charbonnier, le altre persone nella lista sono:
– Carsten Juste, giornalista danese ed ex direttore del giornale Jyllands-Posten, che nel 2005 pubblicò alcune vignette che rappresentavano Maometto;
– Terry Jones, pastore statunitense di cui si parlò molto nel 2010 quando annunciò di volere bruciare una copia del Corano, durante il nono anniversario degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti del 2001;
– Kurt Westergaard, vignettista danese che disegnò una delle vignette raffiguranti Maometto pubblicate dallo Jyllands-Posten, già scampato a due tentati omicidi da parte di fanatici islamisti;
– Geert Wilders, politico olandese fondatore del Partito per la Libertà e tra i realizzatori di Fitna, un film controverso di denuncia del fondamentalismo islamico, definito “islamofobico e offensivo” dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon;
– Lars Vilks, disegnatore e scultore svedese autore di alcune vignette in cui Maometto veniva mostrato come un cane randagio nel 2007 sulla rivista Nerikes Allehanda e su altre pubblicazioni;
– Flemming Rose, giornalista danese del Jyllands-Posten: in quanto supervisore della sezione culturale del giornale fu tra i responsabili della pubblicazione delle vignette su Maometto nel 2005;
– Morris Sadek, avvocato copto egiziano americano accusato di avere fatto conoscere il video satirico Innocence of Muslims contro i musulmani e le loro tradizioni all’attenzione del mondo arabo. In più occasioni ha sostenuto che “l’Islam è il male”;
– Salman Rushdie, scrittore indiano naturalizzato britannico autore di I versi satanici, una storia fantastica con diverse allusioni al profeta Maometto e per questa ritenuta blasfema dai musulmani. Contro di lui Khomeini pronunciò una fatwa, sancendo di fatto una condanna a morte per Rushdie: furono feriti il traduttore italiano del libro e l’editore della versione norvegese, mentre il traduttore giapponese del romanzo fu ucciso da emissari del regime iraniano.
La lista di Inspire si conclude con i nomi di altre due persone, senza foto segnaletica:
– Ayaan Hirsi Ali, femminista somala naturalizzata olandese che fuggì da un matrimonio combinato e che scrisse la sceneggiatura per il cortometraggio Submission del regista olandese Theo van Gogh, assassinato da un fanatico islamista nel novembre del 2004, oltre che un libro in cui ha raccontato la sua storia, Infedele;
– Molly Norris, vignettista dello stato di Washington (Stati Uniti) che organizzò la giornata “Disegniamo tutti Maometto” in seguito alle minacce di morte ricevute dagli autori della serie televisiva a cartoni animati South Park nel 2010 per un episodio in cui si parlava dell’Islam.