Prendere il cancro è solo sfortuna?
Secondo una nuova discussa ricerca 2 tumori su 3 sono dovuti a mutazioni casuali delle cellule, senza cause riconducibili direttamente a stili di vita e condizioni ambientali
Una nuova ricerca scientifica che sta facendo molto discutere sostiene che due tumori su tre sono dovuti a mutazioni del tutto casuali del DNA, senza cause riconducibili direttamente ai propri stili di vita o alle condizioni ambientali in cui si vive. Lo studio è stato pubblicato di recente sulla rivista scientifica Science ed è stato condotto dai ricercatori Bert Vogelstein e Cristian Tomasetti della Johns Hopkins University di Baltimora, Maryland (Stati Uniti), che hanno realizzato un modello matematico per analizzare l’incidenza di diversi tipi di tumori. Il loro studio è quindi di tipo statistico ed è basato su un’ampia serie di dati raccolti negli ultimi decenni dai centri di cura e ricerca sul cancro.
Vogelstein si occupa da molti anni del rapporto tra genetica e tumori, mentre Tomasetti ha da poco conseguito un dottorato in matematica applicata. I due si conoscono da tempo e un giorno, mentre discutevano di diverse teorie sui tumori, hanno pensato di provare a rispondere a una delle domande più frequenti tra chi si occupa dello studio di questa materia: quanti tumori sono causati da abitudini scorrette e condizioni ambientali e quanti da mutazioni genetiche? I due si sono resi conto che, per rispondere a questa domanda, fosse necessario capire quanti dei tumori siano frutto di eventi sostanzialmente casuali.
La ricerca si è concentrata sulle staminali, cellule che si possono differenziare in diversi tipi di tessuti a seconda delle esigenze e che hanno una vita molto più lunga rispetto ad altri tipi di cellule. Proprio a causa della loro longevità, una mutazione nelle staminali può avere conseguenze molto più deleterie rispetto a quella in una cellula comune che dopo un po’ di tempo viene rimpiazzata da una sostituta più giovane. Volgestein e Tomasetti hanno quindi tenuto in considerazione le casuali mutazioni che possono avvenire durante una divisione cellulare, lasciando da parte altre cause come geni difettosi ereditati o di tipo ambientale come il fumo o la presenza di radiazioni.
Stabilito l’obiettivo, cioè le staminali, i ricercatori hanno messo insieme i dati raccolti da altre ricerche per stabilire le dimensioni dei serbatoi di cellule staminali che possiede ogni tessuto. Queste informazioni sono state utilizzate per calcolare il numero complessivo di divisioni cellulari che riguardano le staminali nel corso della vita e per confrontarlo con l’incidenza di diverse forme di tumori in una trentina di organi. Impostato il modello matematico, Volgestein e Tomasetti hanno notato che all’aumentare del numero di divisioni delle cellule aumenta il rischio che si sviluppi un tumore.
Il sistema permette di mettere a confronto forme tumorali diverse tra loro, per comprendere meglio le conseguenze della divisione cellulare. Il cancro al colon, per esempio, è molto più frequente rispetto a quello del duodeno, che interessa la parte iniziale dell’intestino tenue. Nel colon si verificano 1012 divisioni tra cellule staminali nel corso di una vita, mentre nel duodeno se ne verificano meno, intorno a 1010 divisioni. Nei ratti accade il contrario e infatti questi animali sono più soggetti al tumore del duodeno rispetto a quello del colon, stando alle ricerche svolte in tal senso su questi animali.
Jennifer Couzin-Frankel ha riassunto efficacemente sul sito di Science come funziona il sistema sviluppato da Vogelstein e Tomasetti:
Calcola il numero di cellule in un organo, identifica la percentuale di cellule staminali che vivono più a lungo, e valuta poi quante volte si dividono. Con ogni divisione c’è il rischio che si verifichi una mutazione nella cellula figlia che può portare al cancro. I tessuti nei quali avviene il numero più alto di divisioni cellulari staminali sono quelli più esposti al cancro, hanno quindi pensato i ricercatori. Quando Tomasetti ha messo insieme i numeri e li ha confrontati con le statistiche sul cancro effettuate sul campo, ha potuto concludere che la sua teoria copra i due terzi di tutti i tumori.
La conclusione dello studio è che in molti casi non è possibile prevenire i tumori e che quindi la ricerca dovrebbe concentrarsi soprattutto sulla diagnosi precoce, cioè sulla capacità di identificare il cancro quando è ancora ai suoi primi stadi e fermarlo prima che possa fare seri danni. Sebbene sia basata su una serie ampia di dati raccolti negli ultimi decenni, è bene ricordare che la ricerca è di tipo statistico e che ciò che teorizza dovrà essere confermato da altri studi in merito. Il lavoro di Volgestein e Tomasetti lascia inoltre da parte un terzo dei tumori, per i quali le cause continuano a essere particolari predisposizioni genetiche o condizioni ambientali che possono essere pericolose, nelle quali rientrano abitudini come il fumo, il consumo eccessivo di alcolici e molte altre variabili.
In seguito alla pubblicazione della ricerca, diversi oncologi hanno ricordato che non sempre c’è un legame diretto tra mutazioni all’interno delle cellule e tumori. In molti casi le cellule con una mutazione sono eliminate dai tessuti senza conseguenze, mentre in altri casi per motivi ancora poco chiari queste mutazioni restano, diventando una delle cause del cancro. Il timore dei medici è che studi come quello di Science possano far passare il messaggio che i tumori siano inevitabili e che non si possa fare nulla per prevenirli, mentre altre ricerche hanno messo in evidenza l’importanza di seguire abitudini più sane per ridurre le possibilità di ammalarsi di cancro.