Il Venezuela è in recessione
Il PIL è calato per il terzo trimestre consecutivo: è colpa del noto calo del prezzo del petrolio, ma Maduro ha incolpato i propri oppositori e gli Stati Uniti
La Banca centrale del Venezuela, un paese di circa 29 milioni di abitanti nel nord del Sud America, ha fatto sapere ieri che il PIL del paese nel terzo trimestre dell’anno è nuovamente sceso – del 2,3 per cento – e ha confermato così che l’economia del paese è in recessione. Tecnicamente si parla di recessione quando il PIL è negativo per due trimestri consecutivi. La recessione del Venezuela era stata prevista da diversi analisti: il paese è da tempo in crisi economica (avvengono ciclicamente carenze di alcuni prodotti di prima necessità: nel 2013 è toccato alla carta igienica), aggravata negli ultimi tempi da un notevole calo del prezzo del petrolio, da cui dipende circa il 95 per cento delle esportazioni del paese.
La Banca centrale ha fatto sapere che fra luglio e settembre il PIL è calato del 2,3 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: nei due trimestri precedenti il calo era stato rispettivamente del 4,8 e 4,9 per cento. È stato inoltre reso noto il tasso dell’inflazione, che a novembre è stato del 63,6 per cento, in aumento di dieci punti rispetto all’anno scorso: si tratta del tasso più alto del continente e di uno dei più alti al mondo (per avere un’idea: il tasso di inflazione in Europa è lo 0,3 per cento, negli Stati Uniti è l’1,3 per cento).
Da circa un anno e mezzo il presidente del Venezuela è Nicolás Maduro, che dal 2012 al 2013 è stato il vicepresidente di Hugo Chávez, il carismatico presidente socialista morto per cancro il 5 marzo 2013, a 58 anni. Poco dopo la diffusione dei dati sul PIL e l’inflazione da parte della Banca centrale, Maduro ha incolpato della crisi economica gli oppositori politici del governo (che in primavera avevano organizzato diverse proteste represse dalla polizia, durante le quali sono morte 43 persone) e gli Stati Uniti, che secondo Maduro hanno invaso il mercato con il proprio petrolio nel tentativo di danneggiare l’economia russa. Maduro ha anche accusato gli Stati Uniti di voler «distruggere» l’OPEC, un gruppo formato da 12 paesi fra cui Arabia Saudita, Iran e Venezuela che ha un enorme potere sul mercato energetico globale, dato che produce circa il 40 per cento del petrolio in circolazione (in Venezuela il prezzo della benzina è calmierato da anni: fino a gennaio costava circa un centesimo di euro al litro). Oggi il prezzo del petrolio venezuelano per barile è inferiore ai 50 dollari ed è sceso di circa la metà del suo valore a partire da settembre.
Maduro ha detto che si occuperà della crisi economica tagliando le spese statali in eccesso, come quelle per le ambasciate straniere, e ha annunciato una riforma del cambio del bolivar, la moneta nazionale, bloccato dallo Stato: secondo diversi economisti però il Venezuela avrebbe bisogno di riforme strutturali più incisive, che rimuovano il controllo dello stato da vari settori dell’economia e permettano di avere fonti di crescita alternative rispetto alla sola esportazione di materie prime e di energia.
foto: il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro. (AP Photo/Ariana Cubillos)