14 canzoni degli Eurythmics

Da riascoltare oggi che Annie Lennox – la vera star, tra i due – compie 60 anni

British musicians Annie Lennox, left, and Dave Stewart of the Eurythmics pose on the terrace of a hotel in Paris, France, Tuesday, July 25, 1989. They held a news conference to promote their new LP "We Too Are One." (AP Photo/Laurent Rebours)
British musicians Annie Lennox, left, and Dave Stewart of the Eurythmics pose on the terrace of a hotel in Paris, France, Tuesday, July 25, 1989. They held a news conference to promote their new LP "We Too Are One." (AP Photo/Laurent Rebours)

Annie Lennox compie oggi 60 anni. Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha messo insieme una lista delle 14 canzoni più belle che Lennox ha registrato insieme a Dave Stewart, quando insieme erano gli Eurythmics. La selezione è tratta dal suo libro, intitolato Playlist.

Eurythmics
Il più popolare duo del pop moderno. Gente che si sapeva vendere e che aveva capito cos’erano gli anni Ottanta senza sbracarci dentro. Svoltarono con “Sweet dreams” che già si stavano dando da fare da parecchio, e poi fecero un onesto lavoro da artigiani di canzonette (milioni e milioni di dischi venduti, e mai più una canzone immortale). Si separarono sentimentalmente e professionalmente (salvo ripensarci, sulla seconda: sulla prima non ci sono informazioni approfondite): e fecero ambedue cose dignitose, ma a lei – che era la star – andò meglio.

Sweet dreams
(Sweet dreams are made of this, 1983)
Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree?
Travel the world and the seven seas
Everybody’s looking for something”

Here comes the rain again
(Touch, 1983)
La metrica è uguale a quella di “Sweet dreams”: i versi dell’una e dell’altra sono intercambiabili. Ma “Sweet dreams” non aveva il decollo di “so baby talk to me!” (a dirla tutta, nemmeno il datatissimo bridge strumentale).

Who’s that girl
(Touch, 1983)
Non una canzone qualsiasi. Prima c’è lei che recita come se tutte le sofferenze del mondo le fossero passate sopra, poi il raccordo marziale (“but there’s just one thing!”), e il tormentone: “chi è ‘sta ragazza con cui te ne vai in giro?” Il riff della tastiera se la batte con le prime cose dei Depeche Mode.

Sexcrime
(1984, 1984)
La cosa più potente che abbiano mai fatto. Il regista di 1984, Michael Radford, protestò contro le musiche che la produzione aveva commissionato agli Eurythmics senza interpellarlo, e montò una versione del film con una colonna sonora diversa. Loro si dissero dispiaciuti e pubblicarono comunque il disco, con “Sexcrime” come singolo: gran ritmo, lei scatenata, un ottimo remix di sei minuti. Vola. Malgrado il titolo si limitasse a citare un termine orwelliano, alcune radio americane la censurarono per lo spavento.

There must be an angel
(Be yourself tonight, 1985)
Con tutto l’amore del mondo, il “dadà didà” iniziale (e finale) non si può sentire: gronda smarties da ogni bemolle. “Angeli che parlano con il mio cuore”, santi numi. Ma poi arrivano l’ottava giusta, il robusto bridge “I must be allucinated” e il volo di armonica di Stevie Wonder, e tutto è perdonato.

Thorn in my side
(Revenge, 1986)
E che diamine, un po’ di rock: “you gave me such a bad time…”. Una spina nel fianco, ecco cosa sei sempre stato. E l’unica cosa da fare, era mollarti.

When tomorrow comes
(Revenge, 1986)
Così va bene: precipitosi, precipitati, incalzanti. Come in “Sexcrime”. Niente sillabe sospese e acuti da classifica. Forse si poteva fare a meno del sax, ma sta’ a guarda’ ‘r capello… Grande la chiusa: “I wanna be with you, when tomorrow comes”.

I remember you
(Revenge, 1986)
Annie canta la strofa e Lennox il refrain. “Eravamo così giovani, e non capivamo quello che avevamo fatto”. Cosa avessero fatto, non si capisce: ma ne valse la pena.

You have placed the chill in my heart
(Savage, 1987)
A Dave Stewart vanno riconosciute grandi misura e serenità nel tollerare che la sua ragazza e/o partner professionale cantasse per anni di uomini che l’avevano vessata, annoiata, stufata, incatenata, limitata. Era chiaro che ti veniva sempre da pensare che fosse lui, quello lì. In Savage, poi, sembrava non si parlasse d’altro: “una donna è troppo stanca per pensare ai piatti sporchi nel lavello”. E “non mi interrompere quando ti parlo”. E “tu mi hai gelato il cuore”.

Brand new day
(Savage, 1987)
“Six o’ clock in the morning…”. A cappella per metà (e che cappella), è una dichiarazione d’indipendenza e rinascita. Dice: sai che c’è? Ti mollo, c’è un mondo fuori. Non “domani è un altro giorno”: oggi è un altro giorno.

Savage
(Savage, 1987)
Qui è bello, oltre all’andamento incessante e militare, quando ripete i “this/these” in: “she said these are my guns, these are my furs, this is my living room”.

Seventeen again
(Peace, 1999)
Nel 1999 si rimisero insieme, dopo aver fatto ognuno le sue cose senza scolpire segni eterni nella storia della musica. Fecero un disco di moderato impegno pacifista e ambientalista che somigliava abbastanza ai vecchi dischi degli Eurythmics. E c’era una canzone di bilancio, “Seventeen again”, ancora più commovente perché è difficile immaginare che con quell’aria severa e certa del fatto suo Annie Lennox possa mai avere avuto diciassette anni. Alcuni passaggi sullo star system sono un po’ retorici – “all those fake celebrities and all those vicious queens. All the stupid papers and the stupid magazines” – ma la canzone si conclude con una revisione realista del concetto che li aveva resi celebri: “sweet dreams are made of anything that gets you in the scene”.

Anything but strong
(Peace, 1999)
“But seeing is not the same as believing”. Non è una frase originalissima né rivelatrice. Avrebbero potuto dire anche “between saying and doing there’s the sea”. Ma non importa. È come lei lo canta. Lei lo sa, che il modo con cui spalanca la canzone, dopo la sobria strofa iniziale, è il tesoro della canzone: “but seeing, is not the same as believing…”. Lo sa così bene, che sulla strofa non ci torna per un bel po’, e solo per rilanciare il refrain: “and laughing is so very to close to crying…”.