Otto canzoni di Annie Lennox
È nata il giorno di Natale, in Scozia: e oggi compie 60 anni
Annie Lennox compie oggi 60 anni. Luca Sofri, peraltro direttore del Post, ha messo insieme una lista delle sue otto canzoni più belle come solista nel suo libro intitolato Playlist, per chi non le ha mai sentite e per chi le conosce, ma conosce meglio quelle degli Eurythmics.
Annie Lennox (1954, Aberdeen, Scozia)
È nata il giorno di Natale, in Scozia. Fece faville con gli Eurythmics, ovvero col socio Dave Stewart, e poi se ne andò sola. Con meno idee musicali, ma una gran voce, una gran personalità e un indimenticabile taglio di capelli tra il militare e il poco più. Viene da volerle bene, come a tutte le donne incazzate.
Ev’ry time we say goodbye
(Red, Hot + Blue, 1991)
Rifare Cole Porter non è facile, ormai, e spesso non ha senso. Invece lei fece una delle più belle versioni di “Ev’ry time we say goodbye” si siano mai sentite, complice un elegantissimo arrangiamento di pianoforte e fisarmonica. Stava in una raccolta benefica di cover di Cole Porter.
Why
(Diva, 1992)
Primo singolo dal primo disco da sola, lento, denso di nebbia come una canzone dei 10cc. E ancora malinconico e incazzato, di dolori sentimentali come molte cose degli Eurythmics – ma anche dello sfinimento della coppia e della voglia di andar da sola, appunto. “This is the book I never read These are the words I’ve never said This is the path I’ll never tread These are the dreams I’ll dream instead”
Stay by me
(Diva, 1992)
Lei attacca meravigliosamente travolgendo un arrangiamento piuttosto frivolo con la sua voce lamentosa e le vocali trascinate una per una. Canzone d’amore, sulla bellezza di ogni momento. Anzi no, sulla bellezza di certi momenti, malgrado altri.
No more I love you’s
(Medusa, 1995)
Il suo secondo fu un disco di cover. Questa, molto bella, era stata di un duo new wave a suo tempo piuttosto vanamente incentivato da Dave Stewart, i Lovers speaks. Sparirono dopo un disco: il secondo non glielo pubblicarono. L’apostrofo è un errore – voluto o no – trattandosi presumubilmente di un plurale e non di un genitivo.
Don’t let it bring you down
(Medusa, 1995)
“Non buttarti giù, sono solo castelli in fiamme”. Meraviglioso pezzo di Neil Young, soprattutto nell’improvvisa sospensione in cui ripete per una volta il refrain su tutt’altra melodia. La versione di Lennox è meno bella, arrangiata troppo pomposamente, ma rovinarla non si può.
Into the west
(2003)
Chiudeva il terzo “Signore degli anelli”, e vinse l’Oscar. C’è lei, e c’è l’arrangiamento da colonna sonora solenne e drammatico. Prevale lei. Per lo stesso film incise “Use well the days”, che poi non fu usata: uscì anni dopo in un DVD.
Dark road
(Songs of mass destruction, 2007)
Quindici anni dal primo disco da sola, e a sentire questa canzone niente era cambiato: la stessa identica bellezza di sempre, le stesse insoddisfazioni sentimentali. Il disco – deboluccio per il resto – andò male, e alla scadenza successiva la Sony/BMG non le rinnovò il contratto.