Come andò con le Olimpiadi di Torino
Forse bene per Torino, scrive Marco Imarisio, ma molti soldi pubblici furono usati male in strutture poi abbandonate
Sul Corriere della Sera di oggi, Marco Imarisio ha raccontato le conseguenze per la città di Torino dell’organizzazione delle Olimpiadi invernali nel 2006. Sui principali quotidiani italiani si è tornato a parlare di Olimpiadi di recente, dopo che la scorsa settimana è stata ufficializzata la candidatura di Roma come città ospite delle Olimpiadi estive del 2024. Imarisio scrive che mentre «i più accaniti detrattori ammettono che i Giochi del 2006 fecero cambiare attitudine, volto e percezione della città un tempo operaia», e che insomma furono un successo, alcune delle strutture costruite appositamente per l’evento sono state gestite male e ora sono abbandonate. È successo di recente a molte altre città ospiti di Olimpiadi invernali o estive: il caso più noto è probabilmente quello di Atene, dove la maggior parte delle strutture costruite appositamente per le Olimpiadi estive del 2004 non sono mai state riqualificate, e sono oggi abbandonate.
Imarisio scrive per esempio che dopo Torino 2006 la pista da bob costruita a Cesana, in Val di Susa, è rimasta aperta fino al 2010 senza ospitare alcuna competizione, e che durante i tre mesi invernali le spese di gestione erano circa di mezzo milione di euro. La pista era stata costruita nonostante il comitato organizzatore avesse sconsigliato di farlo poiché ce n’era una simile a La Plagne, in Francia, a circa 50 chilometri dal confine italiano. Ancora: la pista di salto con gli sci di Pragelato, costata circa 37,3 milioni di euro, ha oggi un costo di manutenzione annuale di circa 1,1 milioni di euro, e dal 2006 ho ospitato solamente altre due gare.
All’improvviso il cumulo di cartoni si anima. «Vuoi comprare qualcosa?». L’elenco è dettagliato, all’appello non manca nessuna droga. L’uomo che dormiva lì sotto si ritrae alla risposta negativa. «Allora cosa sei venuto a fare?». Il villaggio olimpico di Torino 2006 non è un posto dove andare di notte. «L’obiettivo primario è la realizzazione di uno spazio confortevole per il periodo post olimpico che svolga pienamente le sue funzioni sociali di ritrovo e sosta per la cittadinanza».
I nobili propositi del progetto originale sono in netto contrasto con le vetrate in frantumi, i negozi olimpici che cadono a pezzi, i totem metallici che in quei giorni gloriosi indicavano la via ai turisti usati come arieti per sfondare porte e ingressi, e in generale con una atmosfera post atomica popolata solo dai profughi che hanno occupato alcune palazzine e da molta brutta gente.
«Qualcosa è andato storto anche da noi». Marco Sampietro, ex manager Fiat e poi Pirelli, fu il ministro delle Finanze del comitato organizzatore di Torino 2006. Nei giorni in cui viene rilanciata l’utopia romana, il successo delle Olimpiadi invernali organizzate in Piemonte è spesso citato come un esempio virtuoso. «Where is Turin?». Nel 1998, alla convention coreana delle candidature olimpiche, gli altri delegati si fermavano incuriositi davanti alla cartina dell’Italia. Anche i più accaniti detrattori ammettono che i Giochi del 2006 fecero cambiare attitudine, volto e percezione della città un tempo operaia. «A livello locale gli effetti benefici si sentono ancora» dice Sampietro. «Ma a prescindere da come vengono organizzate, le Olimpiadi non sono mai il modo migliore per spendere denaro pubblico».
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Aggiornamento: sul Corriere della Sera del 22 dicembre una lettera di Piero Fassino, sindaco di Torino, risponde all’articolo di Marco Imarisio: ricorda che tutti i lavori per le Olimpiadi invernali furono portati avanti “nella più assoluta trasparenza e regolarità, senza che nessuna ombra o indagine la sfiorasse” e scrive che solo due siti sui molti costruiti per i Giochi presentano oggi delle criticità riguardo al loro riutilizzo, mentre la città ha guadagnato moltissimo anche in termini di infrastrutture (per esempio con la metropolitana).
foto: Clive Rose/Getty Images