C’è un sacco di acqua sotto di noi
Una nuova ricerca stima che ce ne siano 11 miliardi di miliardi di litri e che questo cambi “enormemente il concetto su dove ci possa essere vita su questo pianeta” e non solo
La quantità di acqua che si trova a chilometri di profondità nella crosta terrestre è molto più copiosa di quanto ipotizzato in precedenza dai ricercatori, dice uno studio realizzato da Barbara Sherwood Lollar dell’Università di Toronto (Canada) da poco pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Si tratta dell’acqua più antica di cui si abbia conoscenza, risalente in alcuni punti a oltre due miliardi di anni fa; secondo i ricercatori in tutta la crosta terrestre sono intrappolati a grande profondità circa 11 milioni di chilometri cubi (11 miliardi di miliardi di litri) di acqua.
I dati della nuova ricerca sono stati ottenuti attraverso la raccolta di diversi campioni in alcuni dei luoghi più profondi scavati dalla natura o dall’uomo, comprese alcune delle più grandi miniere che si spingono per oltre 3 chilometri nella crosta terrestre (lo strato più esterno della Terra solida, quello sui cui viviamo). La quantità d’acqua stimata che giace tra gli strati di roccia è superiore a quella di tutti i fiumi, i laghi e le altre riserve superficiali di acqua dolce del nostro pianeta.
La scoperta non è solo importante per comprendere meglio come è fatto e da cosa è composto il guscio della Terra, ma anche per ottenere nuove informazioni sulla capacità di alcune forme di vita di svilupparsi in condizioni estreme, dove ci sono alta pressione ed elevate temperature. Anche grazie alla presenza dell’acqua, che dalla superficie filtra negli strati più bassi della crosta, le rocce più antiche e a grandi profondità producono molto più idrogeno di quanto fosse stato ipotizzato e questo gas è una risorsa preziosa per particolari forme di vita – per lo più microbi – già osservate in precedenza nei pressi delle bocche idrotermali nelle profondità oceaniche (le bocche idrotermali sono fratture della superficie terrestre dalle quali fuoriesce acqua ad alta temperatura, che si è riscaldata tra le rocce più profonde e quindi più calde).
Quando furono scoperti per la prima volta questi organismi dipendenti per lo più dall’idrogeno, in molti si chiesero quanto diffuse fossero queste forme di vita adatte a vivere in condizioni estreme. Per scoprirlo Barbara Sherwood Lollar ha raccolto dati sulla produzione di idrogeno da circa 200 bocche idrotermali e da 32 miniere, per lo più in Canada, Scandinavia e Sudafrica. I dati sono stati poi utilizzati per valutare la quantità d’acqua sotterranea e la conseguente produzione di idrogeno nello strato più antico della crosta continentale, la parte di crosta terrestre non coperta (o coperta solo in parti limitate) dalle acque.
Secondo lo studio la parte di roccia più antica della Terra, che ha un’età compresa tra i 500 milioni e i 4,6 miliardi di anni a seconda degli strati, produce una quantità di gas 100 volte superiore rispetto a quella ipotizzata un tempo da altre ricerche. Questo significa che gli organismi che si sono adattati a sfruttare l’idrogeno per vivere hanno molta più energia a disposizione. Secondo Sherwood Lollar, questo dato “cambia enormemente il concetto su dove ci possa essere vita su questo pianeta”. E non solo su questo, perché non si può escludere che in altri punti del sistema solare o in luoghi ancora più remoti dello Spazio alcune forme di vita, seppure elementari, si siano sviluppate grazie alla capacità di adattarsi a condizioni estreme.
Ricerche come queste sono una risorsa importante non solo per capire dove si sviluppa la vita, ma anche per capire come si formarono i primi organismi sul nostro pianeta, quando non era ancora un posto ospitale come oggi. Non è per esempio escluso che le prime forme di vita possano essersi sviluppate proprio nei pressi di alcune bocche idrotermali miliardi di anni fa e che si siano successivamente evolute e differenziate, diventando anche lettori del Post.