Il pasticcio Sony continua
Gli hacker che hanno rubato milioni di documenti hanno diffuso le mail del CEO e minacciato le persone che andranno a vedere il film The Interview (la cui prima è stata cancellata)
A distanza di tre settimane dall’attacco informatico contro Sony Pictures, una famosa casa cinematografica statunitense a cui sono stati rubati milioni di dati e informazioni riservate, gli hacker responsabili dell’attacco – che fanno parte di un gruppo poco noto che si fa chiamare “Guardians of Peace” – stanno continuando a diffondere materiale e a fare minacce: martedì 16 dicembre hanno diffuso su alcuni siti di file sharing circa 12mila mail ricevute e inviate dal CEO di Sony Pictures Michael Lynton dal 2008 a novembre del 2014, allegando un messaggio in cui avvertono di «stare lontani» dai cinema che proietteranno The Interview – una commedia in cui due presentatori televisivi (interpretati da James Franco e Seth Rogen) vengono ingaggiati dalla CIA per assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-un. «Ricordate l’11 settembre» c’è anche scritto nel messaggio degli hacker.
Il dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti ha detto che non esistono «informazioni di intelligence che suggeriscano un vero piano contro i cinema» ma ha fatto sapere che sta ancora analizzando i messaggi provenienti dal gruppo di hacker. La prima di The Interview, prevista per domani a New York, è stata cancellata: e non è chiaro se la data di uscita nei cinema – il 25 dicembre, nei cinema degli Stati Uniti – verrà rispettata. Sulle prime si era ipotizzato un coinvolgimento della Corea del Nord, che a giugno aveva criticato molto duramente l’uscita di The Interview: in seguito all’attacco un diplomatico della Corea del Nord aveva negato qualsiasi responsabilità del suo paese, pur definendolo un’“azione giusta” contro un film descritto come un “atto di terrorismo”. L’FBI, settimana scorsa, ha detto che finora non ci sono prove che collegano la Corea del Nord all’attacco.
Nel frattempo nelle scorse settimane migliaia di mail e documenti riservati sono stati resi disponibili sui siti di file sharing, e alcuni giornalisti americani hanno cominciato a studiarli in cerca di notizie. Ne sono stati ricavati decine di articoli: sul fatto, per esempio, che Jennifer Lawrence e Amy Adams abbiano guadagnato meno dei protagonisti maschili di American Hustle, o che in una mail Angelina Jolie sia stata definita “una ragazzina viziata di poco talento” da un produttore della Sony. È anche nato un dibattito sulla legittimità o meno di pubblicare contenuti scoperti in seguito alla diffusione dei file sottratti illegalmente, con posizioni articolate da entrambe le parti (Sony, intanto, ha chiesto ai giornali di non pubblicare documenti sottratti durante gli attacchi).
È giusto pubblicare documenti riguardo l’attacco?
No, secondo il regista e sceneggiatore Aaron Sorkin (che recentemente ha prodotto la terza e ultima stagione della serie televisiva The Newsroom), che ha spiegato le sue ragioni in un lungo articolo pubblicato domenica 14 dicembre dal New York Times (e tradotto oggi su Repubblica). Sorkin ricorda di essere stato coinvolto dalla pubblicazione delle mail – in una viene definito “sul lastrico”, in un’altra è oggetto di un pettegolezzo, in altre si raccontano sue pressioni per avere questo o quell’attore nei film che ha scritto – ma dice che «le offese meschine divulgate non sono nulla rispetto al fatto stesso che siano state divulgate. E che a divulgarle non siano stati gli hacker ma dei giornalisti che hanno fatto il loro gioco». Secondo Sorkin, infatti, «non c’è nulla in quei documenti che possa anche lontanamente sfiorare livello di pubblico interesse, per esempio, dei Pentagon Papers [alcuni documenti segreti del Dipartimento della Difesa americano diffusi dal New York Times nel 1971]».
Queste mail contengono forse informazioni dalle quali si evince che Sony sta violando la legge? No. Che sta ingannando il pubblico? No. Che sta danneggiando i propri clienti? Nemmeno. C’è forse anche una sola frase in queste mail che lasci supporre che sia stato commesso un illecito? Contengono qualcosa che possa aiutare, informare o tutelare qualcuno?
Pochi giorni prima, il co-direttore del magazine Variety Andrew Wallenstein aveva spiegato che Sony è effettivamente un’azienda privata e che alcune delle informazioni pubblicate dai giornali nei giorni precedenti non erano “degne di una notizia”: ma aveva anche spiegato che le vicende possano evolvere e che nel caso il produttore che ha insultato Angelina Jolie voglia scusarsi pubblicamente con lei, un giornale dovrebbe descrivere il contesto dei fatti. Dice una cosa simile anche Farhad Manjoo, un giornalista che si occupa di cose di tecnologia per il New York Times: «è ingenuo pensare che se i giornalisti non ne parlino i documenti di Sony rimarranno segreti. Non lo faranno. Saranno resi pubblici senza contesto».
E The Interview?
Oltre alla cancellazione della prima di The Interview, gli attori Seth Rogen e James Franco hanno annullato tutte le rituali interviste previste per questi giorni di lancio del film. Il Wall Street Journal ha scritto che, secondo una fonte molto vicina a Sony, la casa cinematografica darà la possibilità a ciascun cinema di scegliere se proiettare o meno il film. Sempre il Wall Street Journal ha scritto anche che i cinema della Carmlike Cinemas, la quarta azienda americana per numero di cinema controllati, non proietteranno il film. In generale tra gli addetti ai lavori e gli esperti sta cominciando a circolare l’ipotesi che Sony voglia ridurre la diffusione del film, se non addirittura bloccarne l’uscita.
Il New York Times ha pubblicato ieri un’intervista a Seth Rogen e James Franco realizzata prima degli ultimi sviluppi. Rispondendo a una domanda, Rogen ha detto: «nessuno ha ancora detto che il nostro film, al cento per cento, è stato responsabile di tutta questa roba».
nella foto: il CEO di Sony Pictures Michael Lynton (TOSHIFUMI KITAMURA/AFP/Getty Images)