La Russia è davvero nei guai
Un'economia basata su energia ed esportazioni sta crollando a causa del crollo del prezzo del petrolio e delle sanzioni internazionali: e Putin non ha molte opzioni a disposizione
Un anno fa l’economia russa stava crescendo di circa l’1,5 per cento rispetto all’anno precedente. Il presidente Vladimir Putin si stava preparando per le olimpiadi invernali di Sochi, che si sarebbero tenute da lì a poco meno di due mesi. In Ucraina le cose si stavano agitando: si protestava a Kiev ma il presidente era ancora il filo-russo Viktor Yanukovych, alleato di Putin, e una guerra in Europa era un’ipotesi che nessuno davvero considerava.
Nel giro di 12 mesi tutto è cambiato. L’economia russa è in crisi: le sanzioni imposte dall’Occidente per le interferenze russe nella crisi in Ucraina hanno cominciato a farsi sentire, e ancora di più si sta facendo sentire il crollo del prezzo del petrolio. Negli ultimi giorni il rublo, la moneta russa, ha perso fino al 45 per cento del suo valore; oggi servono 68 rubli per acquistare un dollaro (e 85 rubli per acquistare un euro). L’indice di borsa russo, l’RTS, ha chiuso soltanto ieri con una perdita del 12,3 per cento rispetto al giorno prima, il più forte ribasso in un singolo giorno dal novembre del 2008. Nell’ultimo anno l’indice ha perso oltre il 50 per cento. Politicamente la Russia non è mai stata così isolata negli ultimi 25 anni, cioè da quando è crollato il Muro di Berlino e si è dissolta l’Unione Sovietica. La sua economia è entrata in una grave recessione, la peggiore dal 1998. La crisi dell’economia russa è dipesa anche da altre cose, tra cui alcune debolezze strutturali dell’intero sistema economico russo.
Scelte sbagliate e problemi strutturali
L’economia russa aveva mostrato alcuni segni di debolezza prima ancora dell’inizio della crisi vera e propria, e prima della crisi in Ucraina. Le previsioni per la crescita erano state riviste al ribasso soprattutto per le preoccupazioni di eccessiva dipendenza dell’economia russa dalle esportazioni di petrolio e gas. Molti investitori avevano cominciato a chiedere che lo stato riducesse in maniera significativa il suo ruolo nell’economia. Oggi in Russia tutti i settori strategici sono controllati direttamente dallo stato: il caso più emblematico è Gazprom, la grande azienda statale che si occupa dell’estrazione e vendita del gas, da cui provengono molti esponenti importanti della politica nazionale. Erano già cominciati a emergere in maniera evidente i problemi legati a una macchina burocratica enorme e inefficiente. Le richieste di frenare la corruzione dilagante e di stimolare gli investimenti locali non venivano considerate una priorità. E la situazione dei piccoli e medi imprenditori – che avrebbero potuto ridare dinamismo all’economia russa – rimaneva molto grave: in Russia ci sono 3 milioni di piccoli e medi imprenditori, 110mila dei quali sono attualmente in prigione.
Crisi in Ucraina e sanzioni occidentali
Dal punto di vista politico, la situazione è precipitata con la crisi in Ucraina. Dopo avere a lungo negato un coinvolgimento russo nella crisi in Crimea, nell’aprile di quest’anno Putin ha ammesso che gli uomini armati senza insegne che entrarono in Crimea – e resero possibile il referendum sull’indipendenza e la successiva annessione alla Russia – erano russi. Europa e Stati Uniti hanno risposto con le sanzioni, all’inizio piuttosto blande: hanno cominciato a imporne di molto dure a partire dalla crisi in Ucraina orientale e soprattutto dall’abbattimento del volo civile MH17 della Malaysia Airlines. Uno degli effetti più incisivi delle sanzioni è stato impedire alla Russia di usare le classiche soluzioni che vengono adottate quando crolla il valore della moneta nazionale: più esportazioni, più consumi interni e più investimenti diretti esteri. La situazione è peggiorata ulteriormente quando Putin, per rispondere alle sanzioni, ha vietato le importazioni di cibo da Europa e Stati Uniti: i prezzi sono aumentati, facendo aumentare ulteriormente l’inflazione che stava già risentendo del crollo del rublo.
Prezzo del petrolio
“Tempesta perfetta” è stata l’espressione che alcuni giornali internazionali hanno usato per spiegare la concomitanza delle sanzioni economiche di Stati Uniti e Unione Europea con il crollo del prezzo del petrolio. Lo scorso mese l’OPEC (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) ha deciso di non ridurre la produzione di greggio, nonostante la costante diminuzione del prezzo al barile. L’industria del petrolio e quella del gas naturale sono fondamentali per l’economia russa: insieme valgono il 16 per cento dell’intera economia del paese e circa il 70 per cento di tutte le esportazioni. Metà delle entrate dello stato derivano dal petrolio e dal gas naturale. Il petrolio è così importante che il ministro dell’Economia ha annunciato una manovra economica correttiva, visto che il bilancio 2015-17 era basato su un prezzo del petrolio intorno ai 100 dollari al barile.
E ora? Quali sono le opzioni per la Russia?
Il 16 dicembre la Banca centrale russa ha deciso un intervento straordinario per contrastare la svalutazione del rublo: l’aumento dei tassi di interesse della moneta nazionale dal 10,5 al 17 per cento. Il provvedimento non ha portato però agli effetti sperati e il rublo ha perso quasi il 20 per cento del suo valore in un solo giorno. La Banca centrale russa potrebbe cercare di nuovo di rallentare il crollo del valore della moneta usando le riserve di valuta estera per acquistare rubli sul mercato: ma come ha scritto anche Jennifer Rankin sul Guardian non si tratta di una soluzione valida sul lungo periodo e non sembra nemmeno in grado di tamponare la crisi nell’immediato.
Un altro provvedimento, proposto da Leonid Bershidsky su Bloomberg, è controllare i flussi di capitali, ovvero far sì che non vengano trasferiti fuori dal paese. Anche se fosse adottato – e sembra che non lo sarà, visto che nelle sue ultime dichiarazioni il ministro dell’economia russo Alexiei Uliukaiev lo ha escluso – potrebbe non funzionare nemmeno questo. Secondo Jordan Weissmann per due ragioni: la prima è che c’è il rischio che gli investitori, una volta saputo della sola intenzione di prendere un simile provvedimento, spostino i loro capitali all’estero comunque e lo facciano tutti insieme; la seconda è che “agli oligarchi miliardari che hanno posizioni di potere in Russia non piace sentirsi dire quello che possono e non possono fare”. Secondo Anders Aslund, analista del Peterson Institute for International Economics, l’unica soluzione a questo punto sarebbe la rimozione delle sanzioni: solo così, dice Aslund, si potrebbe ripristinare una specie di normalità nel sistema finanziario russo. Ma è una soluzione che – come un possibile rialzo del prezzo del petrolio – non dipende direttamente dalla Russia e che, dopo mesi, mette il manico del coltello nelle mani di qualcun altro.