Il giorno dopo a Sydney
Cosa è successo in Australia, messo in ordine, e cosa non è ancora chiaro dell'operazione che ha portato alla liberazione degli ostaggi e alla morte di 2 persone, più il sequestratore
Nelle ultime ore a Sydney, in Australia, decine di persone hanno portato fiori nei pressi della caffetteria dove due ostaggi sono morti durante l’operazione di polizia che lunedì ha permesso di mettere fine a un sequestro durato più di 16 ore, seguito in diretta in tutto il mondo, e che ha interessato 17 persone. Oltre ai due ostaggi è morto anche l’autore del sequestro, un iraniano che dal 1996 viveva in Australia e aveva precedenti giudiziari. Il primo ministro Tony Abbott durante una conferenza stampa ha detto che i due ostaggi morti sono stati “vittime delle farneticazioni di un individuo profondamente deviato”: Tori Johnson aveva 34 anni ed era il manager della caffetteria, Katrina Dawson era un avvocato di 38 anni. È stata aperta un’inchiesta per capire come siano andate le cose nei pochi minuti in cui le forze di polizia hanno condotto l’assalto nel locale per liberare gli ostaggi.
Il sequestro
Alle 9:44 del mattino di lunedì (le 23:44 di domenica notte in Italia: da qui in avanti tutte le ore indicate sono di Sydney, 10 in avanti rispetto a noi) un uomo è entrato all’interno del Lindt Chocolate Café che si trova in Martin Place, una via nell’area nord della città a pochi passi da uno degli studi televisivi dell’emittente di notizie australiana 7 News.
L’uomo ha chiesto di chiudere la porta e ha spiegato ai clienti e ai gestori del locale che da quel momento erano sotto sequestro. La polizia ha ricevuto una chiamata e i primi agenti hanno raggiunto l’area intorno alla caffetteria. Poco dopo le 10 del mattino i media australiani hanno dato la notizia del sequestro e hanno mostrato una delle vetrine del locale, dove erano visibili alcuni ostaggi costretti a tenere in mano una bandiera con scritte in arabo. Per alcuni istanti davanti a una delle vetrine è stato visibile anche il sequestratore, con una bandana nera sulla fronte. In attesa di mettersi in contatto con l’autore del sequestro la polizia ha isolato la zona, creando un’area di sicurezza piuttosto ampia comprendendo diversi isolati.
Intorno alle 12:30 il primo ministro Tony Abbott ha tenuto un breve discorso spiegando che erano in corso diverse iniziative per mettere fine a un “incidente profondamente preoccupante”. Intorno al locale centinaia di poliziotti e membri delle forze speciali stavano studiando la situazione insieme ad alcuni negoziatori. Il sequestratore si era intanto messo in contatto con alcune emittenti australiane, attraverso i telefoni cellulari degli ostaggi e aveva chiesto, tra le altre cose, di parlare direttamente con Abbott e avere al più presto una bandiera dello Stato Islamico. Le autorità in seguito hanno chiesto alle varie emittenti di non diffondere questo tipo di informazioni per non compromettere l’incolumità degli ostaggi.
Dopo diverse ore di stallo nelle trattative, a metà pomeriggio cinque ostaggi – tre uomini e due donne – sono usciti di corsa dal locale raggiungendo alcuni agenti delle forze speciali all’esterno dell’edificio. Verso le 18:30 le autorità hanno confermato per la prima volta di essere in contatto con il sequestratore e di avere avviato le trattative per il rilascio degli altri ostaggi. Nella notte, intorno all’una di martedì, la polizia ha confermato che il sequestratore era Man Haron Monis, un iraniano con diversi precedenti.
Alle 2:10 la situazione si è risolta in pochi minuti. Alcuni ostaggi sono usciti di corsa dal locale e pochi istanti dopo un commando delle forze speciali è entrato nella caffetteria, lanciando cariche stordenti (che cioè emettono lampi di luce e forti boati) verso l’area in cui si trovavano gli ostaggi con il sequestratore, che ha iniziato a sparare. In meno di un minuto si sono sentite le esplosioni di decine di colpi ed è probabilmente in questa fase che sono morti il sequestratore e due degli ostaggi, ma per ora su cosa è accaduto nella caffetteria non ci sono state ricostruzioni ufficiali da parte della polizia.
Le autorità hanno dichiarato la fine del sequestro intorno alle 2:40 del mattino. In seguito durante una conferenza stampa hanno confermato la morte di Monis e di due ostaggi e il ferimento di altre quattro persone, già in cura negli ospedali di Sydney e con ferite non preoccupanti.
Man Haron Monis
Il sequestratore di Sydney era Man Haron Monis, un iraniano di 50 anni che dal 1996 viveva da rifugiato in Australia dopo avere lasciato l’Iran per motivi politici, secondo la sua versione. Era noto alle autorità australiane per alcuni precedenti penali ed era stato sostanzialmente respinto sia dai membri sunniti sia sciiti della comunità musulmana di Sydney. Alla fine del 2013 era stato accusato di avere partecipato come complice nell’omicidio della sua ex moglie, ma era stato rilasciato su cauzione nonostante le prove indicassero un’uccisione piuttosto cruenta con coltellate e un rogo per bruciare i resti della vittima. Monis era stato anche accusato di oltre 40 episodi di violenza sessuale nei confronti di alcune donne, che si erano rivolte a lui quando praticava da “guaritore spirituale”. Si difese dicendo che le accuse nei suoi confronti erano sostenute da motivazioni politiche e si paragonò a Julian Assange, il fondatore di Wikileaks.
In Australia si era parlato di Monis già nel 2009, quando aveva avviato una campagna contro i soldati australiani morti in guerra in Afghanistan. Promosse l’invo di lettere contenenti insulti di ogni tipo verso le famiglie dei soldati uccisi, definendoli assassini e dicendo di non sentirsi per nulla rattristato dalla notizia della loro morte. Fu accusato di avere usato il servizio postale per molestie e incitazione all’odio e si difese dicendo di essere un semplice attivista politico e di avere il diritto di esprimersi liberamente. Gli fu imposto il divieto di inviare altre lettere di quel tipo.
A fine estate una giornalista del Sydney Morning Herald incontrò Monis mentre stava raccogliendo del materiale per un articolo su una protesta, organizzata dalla comunità musulmana, in seguito ad alcune attività antiterrorismo che avevano portato a perquisizioni e sequestri in diverse abitazioni. Disse di avere avuto l’impressione che Monis fosse “un po’ instabile” e lo definì anche “un filo spaventoso”. L’inchiesta avviata dopo il sequestro dovrà anche chiarire come mai Monis non fosse tenuto sotto più stretto controllo considerati i numerosi precedenti. Per quanto se ne sa finora, Monis ha comunque agito da solo e non fa parte di organizzazioni terroristiche.
Inchiesta
Sui fatti alla caffetteria di Sydney indagherà nei prossimi giorni una commissione d’inchiesta, con l’obiettivo di ricostruire nel modo più preciso possibile come si siano svolte le cose all’interno del locale, soprattutto nei minuti che hanno portato alla liberazione degli ostaggi con l’operazione di polizia. L’inchiesta dovrà chiarire quali fossero le reali intenzioni di Monis, come mai fosse in possesso di una pistola e perché non fosse segnalato nelle liste che comprendono persone sospette legate al terrorismo. Gli inquirenti avranno anche il compito di ricostruire le cause della morte dei due ostaggi, che potrebbero essere stati uccisi da Monis stesso o dagli agenti nelle fasi concitate e confuse dell’assalto.
Durante la conferenza stampa seguita all’irruzione nella caffetteria, le autorità non hanno dato dettagli chiedendo di attendere gli esiti dell’inchiesta. Hanno comunque chiarito che l’operazione di polizia è stata avviata dopo che dall’interno si sono sentiti alcuni spari. Gli agenti sono intervenuti lanciando alcune granate stordenti e in seguito sono entrati nel locale, dove è iniziata una sparatoria che forse si è prolungata più del previsto.
Feriti
Un poliziotto rimasto lievemente ferito in faccia durante l’assalto è stato soccorso in ospedale e dimesso dopo poche ore. Tre ostaggi feriti da alcuni proiettili sono ancora ricoverati in ospedale, ma sono in condizioni stabili. All’interno del locale c’erano anche due donne incinte: non hanno riportato ferite, ma sono state tenute in osservazione in ospedale per precauzione.