Nei licei della Turchia si tornerà a insegnare il turco ottomano
Lo ha voluto il presidente Erdogan, reintroducendo quella lingua tradizionale che fu abbandonata negli anni Trenta da Ataturk
di Ishaan Tharoor - Washington Post
Nel 1928, Mustafa Kemal Ataturk, il padre fondatore della moderna Turchia, mise in atto una delle più drammatiche e radicali riforme del Ventesimo secolo. Ataturk ordinò la trasformazione dell’intero istituto della lingua turca. Fece abbandonare la scrittura con caratteri arabi e la sostituì con quella in caratteri latini. Fece anche eliminare secoli di vocaboli persiani e arabi che erano andati ad aggiungersi alla lingua turco ottomana, che da allora fu vietato insegnare.
Ataturk voleva modernizzare la Turchia e trasformarla in un paese occidentale. Nella sua visione, l’Impero Ottomano era stato un debole stato islamico sconfitto dai suoi più moderni rivali europei. La lingua che si parlava all’epoca – il turco ottomano appunto – era ormai barocca, usata soltanto dalle élite della decadente corte del sultano e dagli intellettuali delle città. Il turco di Ataturk sarebbe stato una lingua secolarizzata, nazionale e molto più vicina al turco parlato dalla gente comune.
Da allora nessuno in Turchia ha più avuto un’influenza paragonabile a quella di Ataturk, ad eccezione dell’attuale presidente ed ex primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Ed Erdogan sembra intenzionato a usare questo suo potere contro l’eredità di Ataturk. Questa settimana il Consiglio Nazionale dell’Educazione, un organo controllato dagli alleati di Erdogan, ha votato per rendere l’insegnamento del turco ottomano obbligatorio nei licei nazionali. La decisione del Consiglio ha causato una serie di reazioni molto dure tra gli oppositori laici di Erdogan e del suo partito religioso e conservatore, il partito Giustizia e Sviluppo (AKP, la sigla in turco con cui il partito è conosciuto nel mondo). Erdogan è stato in qualche modo costretto a concedere che l’insegnamento sarebbe stato facoltativo e non obbligatorio.
Erdogan ha risposto duramente alle critiche, sostenendo che non insegnare l’antica lingua sarebbe come recidere le radici del popolo turco. Secondo gli oppositori, le azioni di Erdogan sono l’ennesimo tentativo di islamizzare il paese, un processo iniziato nel 2003 con il primo mandato dello stesso Erdogan da primo ministro. Ad esempio, il divieto negli uffici pubblici di indossare indumenti che fossero anche simboli religiosi – come i veli indossati dalle donne per nascondere i capelli – sono stati rimossi da Erdogan. Il numero di studenti dei seminari religiosi finanziati dallo stato è passato da 63 mila nel 2002 a quasi un milione nel 2014.
Erdogan fino ad è stato molto attento a non attaccare direttamente Ataturk e le sue riforme. In un suo discorso recente, per esempio, ha indicato come responsabili della perdita dell’eredità culturale e religiosa del suo popolo l’ultimo sultano del Diciannovesimo secolo: «Dimenticatevi di poter discutere liberamente un qualunque argomento relativo alla religione; la religione e la pratica dell’islam per duecento anni sono state insultate, derise e criticate». L’orgoglio di Erdogan per il glorioso passato islamico – e la sua rabbia verso coloro che cercano di sminuire quella storia – è stato evidente anche quando di recente ha parlato della scoperta dell’America da parte di marinai musulmani. La decisione di insistere sulla necessità di insegnare il turco ottomano, ha scritto il giornalista Joseph Dana che lavora a Istanbul, in Turchia, è una sorta di mossa tattica per Erdogan:
Con le elezioni parlamentari fissate per il 2015, la decisione di Erdogan è un’anticipazione di come il presidente intenda spendere il capitale politico che ha accumulato negli ultimi dieci anni passati al potere. Se l’AKP manterrà la maggioranza parlamentare, Erdogan non dovrà affrontare elezioni per altri quattro anni e avrà grandi opportunità per compiere cambiamenti ancora più profondi nel modo in cui la Turchia viene governata.
A parte il dibattito politico attuale, la storia della lingua turca resta molto affascinante: un’intera nazione dovette imparare dal giorno alla notte un nuovo alfabeto, mentre i funzionari di governo ebbero il compito di creare in brevissimo tempo un nuovo vocabolario. Geoffrey Lewis, professore di linguistica ad Oxford morto nel 2008, raccontò così l’enorme processo che fu messo in moto dopo la storica decisione di Ataturk:
[il governo di Ataturk] ordinò che tre metodi venissero utilizzati per produrre le parole che avrebbero permesso al turco di diventare una lingua indipendente dai prestiti delle lingue straniere. Esplorare il linguaggio parlato dalla gente, raccogliere parole da antichi testi in lingua turca e infine, dove necessario, inventare nuove parole utilizzando radici e suffissi già esistenti.
Nell’ottobre del 1932 cominciò il lavoro di raccolta. Ogni governatore proviinciale era incaricato di presiedere a un comitato con il compito di raccogliere le parole utilizzate dalla gente comune. Nel giro di un anno furono registrate 35 mila parole. Nel frattempo, studiosi e accademici stavano setacciando i dizionari turchi e più di 150 testi antichi alla ricerca di parole oramai abbandonate o che non erano mai state utilizzate nella lingua parlata – il totale di nuove parole si avvicinò a 90 mila.
Lewis giudicò lo sforzo un “catastrofico successo”. Successo perché contribuì a creare un innegabile senso di appartenenza identitaria turca. Catastrofico perché rese tutto ciò che era stato scritto prima del 1930 – e molto di quello che venne scritto dopo – sempre più difficile da comprendere per ogni nuova generazione di turchi. La gran parte dei turchi oggi deve sperare che l’insegnamento del turco ottomano nei licei serva a riparare questa frattura piuttosto che a crearne di nuove.
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