La storia dell’unico agente della CIA condannato per le torture
Ma solo per averne rivelato dei dettagli ai giornalisti, non per averle praticate: è stato chiamato "traditore" ed è ancora in carcere
Negli ultimi giorni, in seguito al rapporto di una commissione del Senato statunitense sulle torture praticate dalla CIA durante l’amministrazione di George W. Bush, è tornata a circolare la particolare storia di John Kiriakou. Kiriakou è l’unico ex agente della CIA coinvolto nella vicenda delle torture a essere stato condannato: l’amministrazione Obama lo ha accusato di aver fatto trapelare informazioni riservate riguardo le procedure di interrogatorio (quindi le accuse non riguardano il fatto di avere praticato le torture). Kiriakou è ancora in carcere: nel 2012 ha patteggiato una condanna di due anni e mezzo e quindi finirà di scontare la sua condanna nel maggio del 2015.
Kiriakou, 50 anni, è nato nel 1964 a Sharon, in Pennsylvania, da una famiglia di immigrati greci. È entrato nella CIA poco dopo aver ottenuto una laurea e un master alla George Washington University di Washington. Si è occupato per un po’ di Medio Oriente e di terrorismo europeo, e dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001 è stato nominato capo delle azioni antiterrorismo in Pakistan. Nel 2004 si è dimesso dalla CIA – quando ancora non aveva ottenuto cariche visibili – lavorando come consulente (anche per ABC News, in qualità di esperto di terrorismo).
Nel 2007 è diventato noto dopo aver dato un’intervista ad ABC in cui raccontava che Abu Zubaydah – il primo dirigente di al Qaida catturato dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, attualmente detenuto nel carcere di Guantanamo – era stato sottoposto dagli americani a degli interrogatori molto duri. Tra le altre cose, disse Kiriakou, Abu Zubaydah aveva subito il waterboarding. Lo stesso Kiriakou definì la pratica “una tortura”, sebbene la difese dicendo che si era rivelata necessaria per ottenere delle informazioni. Kiriakou raccontò anche di essere stato a conoscenza del fatto che le torture venissero usate e che fossero autorizzate dai dirigenti della CIA: fu il primo importante ex membro dell’agenzia a parlarne pubblicamente. Kiriakou disse che alcuni suoi ex colleghi, per via di quell’intervista, lo chiamarono “traditore”.
Secondo il governo americano, nel giugno del 2008 Kiriakou fu la principale fonte per un articolo del New York Times che identificava un dipendente della CIA, Deuce Martinez, come uno degli autori degli interrogatori a Abu Zubaydah e Khalid Shaikh Mohammed, il presunto organizzatore degli attentati dell’11 settembre. Il recente rapporto sulla CIA sulle torture diceva che Khalid Shaikh Mohammed subì per 183 volte il waterboarding.
Nel 2012 l’FBI ha incriminato Kiriakou con l’accusa di avere passato ai giornalisti diverse informazioni riservate relative alle procedure di interrogatorio dei prigionieri. Secondo le autorità, Kiriakou aveva anche mentito in un’altra occasione a una commissione della CIA. Fra i cinque capi d’accusa, Kiriakou scelse di dichiararsi colpevole solo di uno, ottenendo in cambio che cadessero le accuse riguardo tutti gli altri: nel gennaio del 2013 fu condannato a scontare due anni e mezzo di prigione, e attualmente si trova nel carcere federale di Loretto, in Pennsylvania.
In un’intervista al New Yorker, Kiriakou ha detto di aver agito per «difendere» la CIA, a cui lavoravano «un gruppo di persone che amano il proprio paese e prendono molto sul serio le azioni antiterroristiche, ma che forse si sono lasciati prendere un po’ la mano». Timothy Lee, su Vox, ha scritto che nonostante le rassicurazioni di Obama – la cui amministrazione ha abolito le pratiche adottate dalla precedente – «incriminare le persone che hanno parlato del programma, al posto di quelle che lo hanno applicato, renderà più probabile che abusi come quelli potranno essere nuovamente compiuti».
In molti, in seguito alla diffusione del rapporto, si sono chiesti per quale motivo l’amministrazione Obama non ritenesse penalmente responsabili i dirigenti e gli agenti della CIA coinvolti nelle torture. La risposta – spiegata bene da Slate – è che i procuratori federali sanno di non avere abbastanza prove a carico delle persone citate nel rapporto, che agivano nel contesto di una situazione “di guerra” in accordo con l’amministrazione di allora. Inoltre, sempre secondo Slate, la mossa potrebbe essere avvertita come eccessivamente politica, perché colpirebbe principalmente dirigenti dell’amministrazione repubblicana di Bush. In pratica potrebbe generare una nuova crisi di consenso per i democratici, che potrebbero essere accusati dai repubblicani di aver criminalizzato le persone che negli anni hanno protetto gli Stati Uniti dal terrorismo.
foto: AP Photo/Cliff Owen