Perché il Messico sta diventando un grande produttore di auto
C'entrano i trattati di libero scambio e il basso costo del lavoro, ma l'economia del paese finora ne ha beneficiato poco
di Andrea Fiorello – @andreafiorello
Il Messico sta diventando uno dei principali produttori globali di automobili grazie agli investimenti delle case produttrici di tutto il mondo, che costruiscono stabilimenti attratte dal ridotto costo del lavoro e dai numerosi trattati di libero scambio firmati dal governo negli ultimi anni. Gli analisti di IHS Automotive prevedono che per la fine del 2014 il Messico avrà prodotto 3,2 milioni di automobili e veicoli commerciali (+8,5 per cento rispetto al 2013), sottraendo così al Brasile il settimo posto di costruttore mondiale, dietro a Cina, Stati Uniti d’America, Giappone, Germania, Corea del Sud e India. Per avere un altro riferimento, nella classifica globale della produzione di automobili e veicoli commerciali del 2013 l’Italia era ventunesima con 658.207 unità, dietro all’Iran e davanti alla Malesia.
La contiguità territoriale con gli Stati Uniti – che sono il secondo mercato automobilistico mondiale dopo la Cina – rende il Messico un luogo ideale dove collocare gli stabilimenti, che hanno cominciato ad aumentare molto a partire dal 1994, l’anno in cui entrò in vigore il NAFTA (North American Free Trade Agreement), il trattato di libero scambio tra Canada, Stati Uniti d’America e Messico che eliminò tutte le barriere tariffarie tra i paesi firmatari. Poiché in Messico il costo del lavoro è un quinto di quello statunitense, il NAFTA avviò un processo di “colonizzazione” da parte delle case automobilistiche – con le americane General Motors, Ford e Chrysler davanti a tutti – che ha fatto crescere il peso della produzione messicana nell’area dell’America settentrionale dal 5 al 20 per cento.
Negli ultimi cinque anni le case costruttrici hanno fatto raddoppiare la produzione di auto del Messico, investendo 19 miliardi di dollari per la realizzazione di nuovi impianti. A febbraio di quest’anno nello stato di Guanajuato sono state inaugurate due fabbriche appartenenti a marchi giapponesi, costate circa 800 milioni di dollari ciascuna: quella di Honda produce il modello Fit (una citycar che in Europa si chiama Jazz), mentre in quella di Mazda vengono costruite la Mazda2 e la Mazda3 al ritmo di 175mila unità l’anno.
A giugno Daimler – il gruppo tedesco proprietario dei marchi Mercedes-Benz, AMG e Smart – e la giapponese Nissan hanno annunciato che spenderanno 1,36 miliardi di dollari per costruire un nuovo stabilimento comune nello stato di Aguacalientes, accanto a due impianti Nissan già esistenti che esportano verso 50 paesi. Dal 2017, nella nuova fabbrica saranno prodotte auto dei marchi Mercedes-Benz e Infiniti, il brand di lusso della Nissan.
Appena una settimana dopo l’annuncio di Daimler, il rivale tedesco BMW ha comunicato che investirà un miliardo di dollari per realizzare un impianto nella città industriale di Toluca, che dal 2019 produrrà 150mila auto l’anno.
I lavori per la costruzione dello stabilimento Audi di San Jose Chiapa (del costo di 1,3 miliardi di dollari) sono invece già cominciati nel giugno del 2013 e dalla metà del 2016 la fabbrica del marchio premium Volkswagen comincerà a produrre 150mila esemplari l’anno del SUV Q5 per i mercati di tutto il mondo. Lo stabilimento Audi si trova a sessanta chilometri da quello Volkswagen di Puebla, che con i suoi oltre 15mila dipendenti è il secondo impianto più produttivo al mondo del gruppo tedesco, superato solo dalla sede centrale di Wolfsburg, in Germania.
A fine agosto anche il costruttore sudcoreano Kia – che fa parte del gruppo Hyundai-Kia Automotive – ha annunciato la costruzione del suo primo stabilimento in Messico; l’impianto, che ha comportato un investimento di 1 miliardo di dollari, dal 2016 produrrà 300mila unità l’anno. Secondo le stime di IHS Automotive, grazie alle nuove fabbriche la produzione messicana nel 2019 raggiungerà i 5 milioni di unità l’anno, portando il Messico dal settimo al sesto posto nella classifica mondiale dei paesi costruttori di auto.
Il Messico ha firmato quarantaquattro trattati di libero scambio – più del doppio di quelli sottoscritti dagli Stati Uniti d’America – con nazioni di Nord e Sud America, Europa e con il Giappone; questi accordi che eliminano dazi, quote e preferenze tariffali su molti (o su tutti) i beni scambiati tra i paesi firmatari rendono conveniente l’esportazione, che infatti rappresenta l’80 per cento della produzione automobilistica messicana.
Per approfittare dei benefici che derivano dai trattati, però, i costruttori stranieri presenti in Messico devono acquistare almeno il 62,5 per cento della componentistica – i pezzi meccanici o elettrici di cui è fatta un’automobile – nell’area NAFTA, e questa condizione ha favorito il proliferare dei fornitori messicani e l’arrivo dei grandi gruppi internazionali come Delphi e Magna International. Quest’ultima, che in Messico aprì il suo primo stabilimento nel 1991 per rifornire Volkswagen, oggi ha nel paese trenta sedi e 24mila dipendenti (raddoppiati in meno di sette anni), che generano introiti per tre miliardi di dollari l’anno.
Oltre agli accordi commerciali, però, l’elemento fondamentale che ha favorito la notevole crescita della produzione automobilistica messicana è il basso costo della manodopera (nel paese lo stipendio medio di un operaio è attorno ai 300 dollari), che garantisce profitti anche su modelli dal prezzo ridotto. L’arrivo dei costruttori di lusso tedeschi dimostra come le competenze di tecnici e operai locali siano diventate sempre più sofisticate e all’altezza della qualità della produzione europea, ma gli stipendi in Messico restano tra i più bassi dell’America Latina e nel periodo 2002-2012 sono cresciuti appena dello 0,6 per cento in più rispetto all’inflazione. Secondo fonti ILO (International Labor Organization), nello stesso periodo in Brasile e Colombia la crescita dei salari è stata doppia, tripla in Cile e cinque volte maggiore in Perù.
Gli stipendi molto bassi, i servizi pubblici spesso a pagamento e il fatto che i produttori mantengano soprattutto all’estero i profitti realizzati grazie alla produzione in Messico fa sì che i benefici dei nuovi investimenti non abbiano grandi ricadute sull’economia locale, la cui produttività dal 2005 è cresciuta a ritmo doppio rispetto a quello dei salari. Lo scarso potere d’acquisto dei lavoratori limita anche il mercato domestico delle auto nuove, che è poco superiore a un milione di unità l’anno, una cifra molto bassa per una nazione con quasi 120 milioni di abitanti. Nell’ultimo decennio l’economia messicana è progredita in media del 2,6 per cento annuo – a fronte del 3,8 per cento del Brasile o del 4,7 per cento del Perù – e la parte di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà pari a 190 dollari a persona al mese, secondo i dati della Banca Mondiale, è rimasta stabile al 46 per cento, mentre nei vicini Brasile e Venezuela si è più che dimezzata.
Per migliorare le condizioni salariali, il governo del Messico ha istituito la Commissione Nazionale sul Salario Minimo, che ha il compito di studiare soluzioni al problema degli stipendi troppo bassi. Negli ultimi quarant’anni, infatti, il potere d’acquisto effettivo del salario minimo messicano – oggi pari a meno di cinque dollari al giorno – è diminuito del 70 per cento ed è il più basso tra tutti quelli dell’America Latina. Secondo gli analisti di IHS Automotive, la crescente richiesta di lavoratori dotati di competenze specifiche nella produzione automobilistica potrebbe portare a un consistente incremento dei salari del settore. Questo da un lato migliorerebbe le condizioni di vita della popolazione messicana e aiuterebbe la crescita del mercato interno, ma dall’altro ridurrebbe la competitività internazionale del paese, che si basa proprio sul ridotto costo della manodopera.
foto: uno stabilimento Honda a Celaya, in Messico. (OMAR TORRES/AFP/Getty Images)