Cosa succede con i fondi all’editoria
Secondo il Manifesto il governo ha intenzione di tagliare o eliminare anche quelli relativi al 2013, mettendo così in pericolo immediato diverse testate
Sulla prima pagina del Manifesto di oggi un editoriale della direttrice Norma Rangeri denuncia un probabile annullamento o taglio retroattivo dei fondi destinati dallo Stato all’editoria. «Vogliono soffocare il manifesto. […] Vogliono cancellare una voce, storica, dell’informazione in Italia. E insieme a noi altre decine e decine di testate giornalistiche, di carta ma anche radio e tv. E questo grazie a una spending review che nel nostro settore è applicata in modo spietato». La questione è piuttosto complicata, non riguarda solo il Manifesto e, anche se con minor evidenza, negli ultimi mesi ne hanno parlato anche altri, per esempio il presidente della Federazione italiana editori di giornali (FIEG) Giulio Anselmi. Alle 12 in Senato si è tenuta una conferenza stampa per cercare di spiegarla.
Quelli di cui si parla sono i fondi diretti all’editoria: consistono nell’erogazione diretta di un contributo da parte dello Stato ad alcuni giornali che ne abbiano diritto in base a una serie di requisiti, stabiliti in varie leggi. Questi contributi diretti fanno riferimento all’anno precedente a cui avvengono: sono calcolati in base a parametri come vendite, distribuzione, tiratura e costi dell’anno precedente e sono proporzionali ai fondi che complessivamente ogni anno vengono resi disponibili dal governo: in questo caso si parla quindi dei fondi relativi al 2013. Questi fondi coprono una parte che potremmo definire fissa e una parte variabile. La prima può arrivare fino al 50 per cento dei costi sostenuti da un giornale (si tratta delle “spese vive”: l’acquisto della carta, il costo per la stampa e la distribuzione, il costo per il personale dipendente e il costo per l’acquisto di servizi da agenzie di stampa o agenzie fotografiche). La seconda – diversificata per quotidiani nazionali, quotidiani locali e periodici – si basa sulle singole copie vendute (e non più su quelle distribuite, come in passato, per evitare che qualcuno ne approfittasse).
(Come funzionano i fondi all’editoria: contributi indiretti e contributi diretti)
La quota complessiva messa a disposizione per i contributi diretti all’editoria è diminuita di anno in anno. Nel 2010 era di 150 milioni, nel 2012 si è passati a 80 per arrivare a poco più di 50 nel 2013 (per il 2014 si prevede un’ulteriore diminuzione). L’articolo 167 della legge di stabilità approvata dal governo Letta nel dicembre del 2013 prevedeva un «fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria» da circa 125 milioni di euro nei prossimi tre anni: 55 milioni per il 2014, 40 milioni per il 2015 e 30 milioni per il 2016.
Ora il Manifesto dice che il dipartimento Editoria e Informazione della presidenza del Consiglio dei ministri – di cui è responsabile il sottosegretario Luca Lotti – ha previsto che i fondi del 2014 riferiti al 2013 non siano più disponibili (o che lo siano in misura molto minore rispetto a quanto già stabilito). Il governo potrebbe aver deciso (ma non ci sono ancora informazioni ufficiali a riguardo) di avvalersi di alcune clausole contenute nella cosiddetta spending review, il piano di revisione della spesa messo insieme dal commissario Carlo Cottarelli che prevede di tagliare la spesa pubblica nel triennio 2014-2016 e che inserisce i fondi all’editoria tra i “trasferimenti aggredibili”, quelli cioè su cui si può tagliare. Semplificando: dal bilancio della Presidenza del Consiglio sarebbero stati fatti dei tagli su fondi già promessi.
Dato che sono fondi relativi al 2013, però, questi soldi sono già stati inseriti in bilancio da decine di aziende editoriali alla voce “contributi statali”. Intorno alla metà dell’anno, a chiusura di bilancio, ogni testata che ne abbia diritto valuta quanto di questi fondi inserire nel proprio bilancio dopo aver sentito il dipartimento. Il Manifesto, per esempio, ha inserito 600 mila euro: erano sostanzialmente i fondi necessari alla sua sopravvivenza e sono circa il 40 per cento di quelli che avrebbe dovuto ricevere. La maggior parte dei giornali che ha diritto ai rimborsi inserisce a bilancio almeno il 70 per cento dell’ipotesi complessiva. Questo significa che i bilanci presentati finora si basano in modo parziale ma consistente su soldi che potrebbero non ricevere, a causa di questo taglio retroattivo: quei giornali salvo interventi diretti degli editori rischiano quindi di dichiarare fallimento.
Scrive Rangeri sul Manifesto:
«È una vera e propria decapitazione di una parte dell’informazione italiana. Si tratta della cancellazione di molte voci con storie diverse ma tutte espressione di una pluralità di punti di vista politici, culturali, sociali destinati a scomparire.
Non siamo così miopi da non vedere e così stolti da non sapere che il fondo per l’editoria è stato in anni passati anche un pozzo di denaro dove attingere soldi, per far nascere iniziative editoriali finte, di facciata, utilizzate per altri fini e per arricchire le tasche di faccendieri e imprenditori senza scrupoli. Perché gli editori puri, in Italia, sono una rarità. Anche dietro la voce «cooperative» si sono consumate truffe e ruberie. Però adesso si butta via il bambino con l’acqua sporca. Con due immediate conseguenze: un forte appannamento nel mondo dell’informazione e il licenziamento di centinaia di lavoratori del settore (tipografie, distribuzioni, cartiere) che andranno a ingrossare le già enormi percentuali della disoccupazione».
Aggiunge Raffaele Lorusso su Articolo 21:
Come se non bastassero le 32 testate giornalistiche costrette a chiudere negli ultimi 24 mesi, altre 100 testate rischiano di mandare i titoli di coda entro la fine dell’anno. (…) In termini di occupazione, il bilancio sarebbe drammatico: i posti di lavoro a rischio sono circa tremila. Senza contare le ripercussioni sull’indotto. Il taglio dei contributi non apporterebbe alcun beneficio allo Stato: il risparmio sarebbe di gran lunga inferiore alla spesa necessaria per garantire gli ammortizzatori sociali.