Da dove arriva la Groenlandia
Breve storia dell'isola più grande del mondo, che pochi giorni fa ha eletto un nuovo governo: fa parte della Danimarca da secoli e ha quasi gli stessi abitanti di Campobasso
La Groenlandia è la più grande isola del mondo, con una superficie pari a sette volte quella dell’Italia e una popolazione poco superiore a quella di Campobasso, circa 56 mila abitanti. È un luogo remoto, vicino al circolo polare artico, coperto in gran parte di ghiacci perenni. È una nazione autonoma, ma che fa parte del Regno di Danimarca: il suo capo di stato è il re di Danimarca e il governo danese ha il controllo di tutto ciò che riguarda la difesa e la politica estera dell’isola. È anche un paese ricco di risorse naturali, con una politica che negli ultimi mesi è stata parecchio tumultuosa (e che per diversi aspetti ricorda quella europea).
L’ultima vicenda politica del paese si è conclusa venerdì 28 novembre quando si è votato per le elezioni parlamentari anticipate, convocate dopo le dimissioni del primo ministro Aleqa Hammond, coinvolta in uno scandalo che riguardava alcuni rimborsi spese. Le elezioni, che si sono svolte in una giornata in cui la temperatura massima era di -10 gradi, sono state vinte con un margine ridottissimo dal partito centrista Siumut, guidato dall’attuale primo ministro Kim Kilsen. Siumut ha ottenuto appena 326 voti in più del partito di centrosinistra Inuit Ataqatigiit. Il ridotto margine di vantaggio non è stato sufficiente a Siumut per conquistare la maggioranza dei seggi. Con 11 seggi conquistati su 31, Siumut sarà costretto a formare un governo alleandosi con i partiti minori, come quello liberale, oppure formando una grande coalizione con Inuit Ataqatigiit.
Kilsen, un ex poliziotto di 46 anni, è un inuit (cioè uno degli abitanti autoctoni dell’isola), come quasi il 90 per cento della popolazione della Groenlandia. Il “kalaallisut”, o eschimese della Groenlandia, è la sola lingua ufficiale dell’isola dal 2009, ma quasi tutti gli abitanti parlano anche danese, che è anche l’unica lingua per alcuni dei danesi etnici che vivono sull’isola (circa l’11 per cento della popolazione). Nella capitale Nuuk, e in molte altre parti del paese, cartelli e segnali stradali sono scritti in entrambe le lingue.
Il legame della Groenlandia con la Danimarca, e con il resto della Scandinavia, risale a prima dell’anno mille, quando alcuni coloni vichinghi provenienti dalla Norvegia e dall’Islanda si stabilirono sulle coste occidentali dell’isola. Durante il Quattordicesimo e il Quindicesimo secolo queste colonie divennero sempre più isolate dalla madrepatria, mentre i cambiamenti climatici portarono a un forte abbassamento della temperatura. Lo spazio coltivabile si ridusse a causa dell’avanzamento dei ghiacci mentre gli inverni si facevano più lunghi e gli scontri con gli indigeni inuit sempre più numerosi. Le ultime colonie probabilmente furono spazzate via nel corso del Quattrocento. Le ossa che ci sono rimaste indicano che gli ultimi coloni vichinghi della Groenlandia patirono la fame.
A quel punto, gli europei si dimenticarono della Groenlandia per diversi secoli fino a quando, per una serie di complicate questioni dinastiche, nel Diciottesimo secolo il Regno di Danimarca si ritrovò ad ereditare non soltanto la corona di Norvegia, ma, per una specie di proprietà transitiva, anche tutti i territori su cui gli antichi coloni norvegesi avevano messo piede nei secoli precedenti. Tra questi c’erano anche le colonie vichinghe della Groenlandia di cui narravano le antiche saghe nordiche. Molte spedizioni, alcune delle quali fallimentari, furono inviate da Copenaghen verso la Groenlandia alla ricerca degli antichi insediamenti vichinghi e per piantare la bandiera danese sull’isola.
Dalla metà del ‘700 fino agli anni ’70 del secolo scorso la Groenlandia fu trattata sostanzialmente come una colonia del regno di Danimarca, e sfruttata soprattutto per il suo mare pescoso. Poi, gradualmente, i suoi abitanti riuscirono a conquistarsi fette sempre più grandi di autonomia. L’ultimo passo, dopo un referendum nel 2008, è stata la conquista della piena autonomia per tutte le materie che non riguardano la politica estera e la sicurezza. In base a questi accordi, la Danimarca trasferisce ogni anno in Groenlandia un sussidio di 3,2 miliardi di corone danesi, cioè circa 430 milioni di euro. Mano a mano che la Groenlandia conquisterà una maggiore autonomia economica grazie allo sfruttamento delle sue risorse naturali, questo sussidio dovrebbe ridursi.
La questione dello sfruttamento delle risorse naturali è attualmente il punto principale della politica groenlandese. L’economia dell’isola si regge sulla pesca e sui trasferimenti di denaro dalla Danimarca, che costituiscono circa due terzi dell’economia del paese. Per diventare indipendente, quindi, la Groenlandia deve prima sviluppare un’economia autonoma e questo sviluppo, secondo molti, tra cui l’attuale primo ministro, deve passare per lo sfruttamento minerario. L’isola possiede giacimenti di ferro, uranio, alluminio, nickel, platino, tungsteno e rame. Attualmente però queste risorse non sono ancora sfruttate e, visto il calo dei prezzi delle materie prime degli ultimi anni, non è nemmeno chiaro se sia conveniente cominciare a farlo.
Il business più promettente sembra quello delle cosiddette “terre rare”, un gruppo di minerali molti ricercati per l’industria informatica e di cui attualmente la Cina è il principale esportatore (con una quota di mercato vicina al 90 per cento). Nell’ottobre 2013 il governo della Groenlandia autorizzò l’estrazione dell’uranio, un materiale che si trova spesso mischiato alle terre rare. All’epoca la speranza era che il paese attraversasse un boom economico-minerario, ma la cosa non è ancora verificata. Diversi gruppi ambientalisti, intanto, continuano a protestare contro l’estrazione delle terre rare, anche per via dei minerali radioattivi con cui sono spesso mischiate. Secondo molti osservatori, la vittoria di Kilsen alle elezioni è un buon segno per chi vuole investire in Groenlandia, soprattutto se il nuovo primo ministro riuscirà a formare un governo solido con i partiti più piccoli e più favorevoli allo sfruttamento minerario.