La sbilenca novità dei corsi di formazione per giornalisti
Sergio Rizzo elenca sul Corriere alcune delle maldestre procedure con cui l'Ordine dei Giornalisti sta affrontando una nuova regola
Nella comprensibile indifferenza di tutto il resto della popolazione italiana, da qualche mese la categoria dei giornalisti professionisti dibatte di una novità che la riguarda: l’obbligo di accumulare “crediti” professionali da poco introdotto, e che dovrebbero essere ottenuti con procedure assai controverse e in alcuni casi apparentemente prive di senso (c’è stata poi anche una questione sulle iniziative a pagamento che sono nate intorno a questo obbligo). Oggi la storia è arrivata su una pagina intera del Corriere della Sera, con un articolo di Sergio Rizzo che – con qualche limite di completezza – descrive un po’ della maldestra gestione del caso (è forse discutibile che i giornalisti non abbiano “clienti”, come scrive Rizzo).
Ma partiamo dall’inizio. È settembre del 2011: lo spread galoppa e l’ultimo governo di Silvio Berlusconi deve mettere mano all’ultima disperata manovra. Lì dentro spunta a sorpresa una norma attuativa di una direttiva comunitaria, con la quale si decreta l’obbligo della formazione continua per gli iscritti a ogni Ordine professionale. Giornalisti compresi. Norma assurda, perché la direttiva ha lo scopo evidente di tutelare i clienti delle professioni, mentre i giornalisti non hanno «clienti» in senso stretto. Di più. «Il fatto di essere iscritti a un Albo fa dei giornalisti italiani gli unici in Europa soggetti a quell’obbligo», aggiunge la segretaria dell’Ordine del Lazio Silvia Resta.
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(giornalisti dell’agenzia Havas di Parigi, nel 1922, AFP/Getty Images)