Che succede se Napolitano si dimette?
Il presidente del Senato assumerà le sue funzioni e quello della Camera organizzerà l'elezione del successore piuttosto in fretta (ma perché ne parliamo proprio ora?)
Da circa un mese si parla sempre più spesso delle dimissioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La gran parte dei giornalisti esperti di cose del Quirinale ha già individuato, a grandi linee, una data: Napolitano dovrebbe annunciare le sue dimissioni nel rituale discorso di fine anno e lasciare l’incarico nelle settimane successive, dopo la fine del semestre di presidenza italiano del Consiglio dell’Unione Europea. Ma cosa succederebbe esattamente in caso di dimissioni e quali sarebbero i tempi per eleggere un nuovo Presidente della Repubblica?
Come avverranno le dimissioni
Che cosa accade in caso di dimissioni del presidente della Repubblica è scritto in maniera abbastanza chiara nell’articolo 86 della Costituzione:
Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato.
In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione.
Quindi: il presidente annuncia ai presidenti delle Camere le sue dimissioni, il presidente del Senato Pietro Grasso assume il ruolo di presidente supplente, mentre la presidenza del Senato viene assunta a turno dai suoi vice-presidenti. Dal giorno della comunicazione ufficiale delle dimissioni, il presidente della Camera ha quindici giorni per convocare il parlamento in seduta congiunta ed iniziare le procedure per l’elezione del nuovo presidente (non c’è un limite massimo di tempo entro il quale queste elezioni devono essere concluse).
Realisticamente, è improbabile che Napolitano formalizzi le dimissioni prima della fine del semestre di presidenza dell’Unione Europea oppure durante le vacanze di Natale. I primi giorni utili, quindi, sarebbero quelli intorno alle metà di gennaio. Il che significa che il parlamento potrebbe essere convocato per procedere all’elezione entro la fine del mese. Secondo alcune indiscrezioni pubblicate dal Foglio, questo sarebbe proprio lo scenario più probabile. Secondo il quotidiano, infatti, Napolitano avrebbe scritto una lettera alla presidente della Camera avvertendola che non potrà partecipare alle commemorazioni per il Giorno della Memoria il prossimo 27 gennaio, segno che per quella data dovrebbe essersi già dimesso.
Come’è cominciata tutta la storia
I giornali di oggi raccontano variamente le presunte trattative fra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi per la successione di Napolitano. In particolare, delle dimissioni di Napolitano si è ricominciato a parlare negli ultimi giorni a causa di un editoriale dell’8 novembre in cui il giornalista Stefano Folli (ex giornalista del Sole 24 Ore, da poco passato a Repubblica) diede per certa la decisione di Napolitano e parlò anche di una data: il discorso di capodanno. La fonte erano “amici” intimi di Napolitano. Nei giorni successivi tutti i principali quirinalisti (cioè i giornalisti che si occupano del presidente della Repubblica), confermarono questa indiscrezione, alcuni specificando anche la fonte di queste ultime rivelazioni: l’ex parlamentare e amico di lunga data di Napolitano Alfredo Reichlin.
Una parziale conferma è arrivata dallo stesso presidente della Repubblica che domenica 9 novembre ha pubblicato un comunicato sul sito del Quirinale in cui la presidenza dichiara di «non smentire né confermare» le indiscrezioni di quei giorni. Anche perché, spiegava sempre il comunicato, il presidente aveva già specificato che avrebbe portato avanti il suo incarico soltanto entro alcuni «limiti temporali», cioè non avrebbe concluso il settennato. Già durante il suo discorso di insediamento, dopo essere stato rieletto (Napolitano è stato il primo presidente della Repubblica ad essere eletto due volte), Napolitano disse chiaramente che non avrebbe mantenuto la carica per sette anni, ma che la avrebbe esercitata soltanto «fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno» (il prossimo 29 giugno Napolitano compirà 90 anni).
In molti interpretarono queste sue parole come un segnale che Napolitano intendeva esercitare il suo ruolo fino all’approvazione delle riforme costituzionali e della legge elettorale, oppure che intendesse utilizzare le proprie dimissioni come forme di pressione nei confronti dei partiti nel caso queste riforme fossero state bloccate (nel suo discorso Napolitano minacciò questa possibilità in maniera abbastanza esplicita). A confermare che questo momento è oramai vicino, già lo scorso aprile, in una lettera al Corriere della Sera, Napolitano scrisse: «Confido che stiano per realizzarsi condizioni che mi consentano di prevedere un distacco comprensibile e costruttivo dalle responsabilità che un anno fa mi risolsi ad assumere».
I precedenti
In passato diversi presidenti della Repubblica si sono dimessi prima della scadenza naturale del loro mandato. Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi si dimisero con alcuni giorni di anticipo dopo l’elezione del loro successore per permettergli di assumere immediatamente l’incarico (un gesto di cortesia istituzionale, insomma). Napolitano si dimise con alcuni giorni di anticipo rispetto alla fine del suo primo mandato per assumere il suo secondo mandato. Le altre dimissioni furono, in qualche misura, più gravi.
Francesco Cossiga si dimise il 28 aprile del 1992 con due mesi di anticipo rispetto alla scadenza del suo mandato, annunciando la sua decisione con un discorso televisivo (nei mesi precedenti c’erano state delle accuse contro di lui per la sua partecipazione all’operazione “Gladio” e anche una richiesta di messa in stato d’accusa, che però era stata bocciata). Anche Giovanni Leone si dimise in seguito ad uno scandalo che lo riguardava. Leone annunciò le sue dimissioni nel giugno del 1978, a più di sei mesi di distanza dalla scadenza naturale del suo mandato. Il primo caso in assoluto delle dimissioni di un presidente della Repubblica fu quello di Antonio Segni, che si dimise il 6 giugno del 1964 in seguito ad una grave malattia.