I suicidi nel carcere di Como
Soltanto dal 12 ottobre tre persone detenute si sono uccise a Bassone: sono state aperte indagini e ci sono state due interrogazioni parlamentari
Nel carcere di Bassone, a Como, dal 12 ottobre al 19 novembre si sono suicidate tre persone detenute. I suicidi nelle carceri italiane sono un problema molto diffuso, causato dal sovraffollamento che comporta condizioni di vita molto difficili e uno scarso sostegno psicologico legato all’insufficienza di personale: tre suicidi avvenuti nello stesso carcere in poco più di un mese sono però un evento molto raro, che ha già portato a due interrogazioni parlamentari.
Il primo suicidio è avvenuto domenica 12 ottobre: il trentenne cileno Cuevas Galvez si è impiccato nella sua cella utilizzando un laccio legato al letto a castello, dopo aver assistito alla messa. Galvez si trovava in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti e furto. L’ANSA riporta che la guardia è intervenuta subito per cercare di salvarlo, ma inutilmente.
Il secondo caso è avvenuto il 31 ottobre ed è quello che sta facendo discutere di più. Verso le 16 del pomeriggio il 28enne Maurizio Riunno è stato trovato impiccato con un lenzuolo alla finestra della sua cella. Riunno era stato arrestato dieci giorni prima per sequestro di persona e si trovava in carcere in custodia cautelare. Era già stato arrestato in passato ed era stato liberato poche settimane prima del nuovo arresto. Si trovava in una cella a parte riservata ai detenuti che hanno problemi di convivenza con gli altri, una specie di isolamento: nel suo caso si trattava di esigenze giudiziarie legate alle indagini ancora in corso.
La procura di Como ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, una pratica necessaria per effettuare l’autopsia, che ha confermato la morte per asfissia. La famiglia è però convinta che Di Riunno non si sia suicidato, soprattutto per via di alcune lettere che aveva scritto alla compagna in cui parlava del futuro, della voglia di ricominciare una vita con lei e i tre figli piccoli, e con cui chiedeva francobolli per continuare a scriverle. La donna ha anche raccontato di aver guardato il corpo di Riunno prima dell’autopsia e di aver fotografato «un occhio nero, una spalla violacea, graffi sulle mani, graffi sul collo». Ha anche scoperto che la procura aveva sequestrato quattro lettere che aveva inviato a Riunno e una scritta da lui. La famiglia ha chiesto aiuto ai Radicali per fare chiarezza sull’accaduto, che è stato anche oggetto di un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro della giustizia Orlando da Roberto Giachetti, esponente del PD e vicepresidente della Camera.
L’ultimo caso risale al 19 novembre, quando Massimo Rosa – 63enne di Erba, in provincia di Como – è stato trovato impiccato nel bagno dell’infermeria del carcere, dov’era ricoverato per motivi di salute. Nel luglio scorso Rosa aveva ucciso la madre malata, che aveva 83 anni: aveva sempre vissuto con lei e con il fratello e, come ha spiegato, progettava di uccidersi subito dopo il delitto ma aveva cambiato idea all’arrivo del fratello. Rosa era in attesa di giudizio e sarebbe stato giudicato con rito immediato.
Sugli episodi è intervenuto anche Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (SAPPE), che ha ricordato le condizioni critiche delle carceri lombarde: «dal primo gennaio al 30 giugno 2014 si erano già contati il suicidio di un detenuto, 441 atti di autolesionismo, 54 tentati suicidi, 192 colluttazioni e 56 ferimenti». Anche il senatore del PD Luigi Manconi ha fatto un’interrogazione sul tema al ministro della Giustizia.
Secondo “Ristretti Orizzonti” – una delle più importanti associazioni italiane che si occupa di carceri – nel 2014 nelle carceri italiane ci sono stati 41 suicidi. Dal 2000 nel carcere di Como si sono suicidate 15 persone. Nel dicembre del 2013 il governo ha approvato un decreto per far fronte al grave problema del sovraffollamento delle carceri che prevede, tra le altre cose, misure per il reinserimento dei tossicodipendenti detenuti e per rimpatriare i migranti, l’aumento dei giorni di “sconto” per ogni semestre di pena espiata e la creazione del garante nazionale dei detenuti, tra le altre cose. Secondo molti le conseguenze del decreto – approvato in via definitiva dal Senato nell’agosto 2014 – hanno migliorato la situazione ma non sono comunque sufficienti a risolvere definitivamente e rendere dignitose le condizioni di vita delle persone detenute.