La Corte di giustizia UE ha condannato l’Italia per i precari della scuola
Secondo i giudici "il rinnovo illimitato di questi tipi di contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato"
La Corte di giustizia dell’Unione europea, l’organo che deve garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati fondativi dell’Unione europea, ha condannato l’Italia sulla normativa legata ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola. Secondo la Corte, “il rinnovo illimitato di questi tipi di contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato”. L’Italia, ha aggiunto la Corte, non ha fatto niente per impedire il ricorso abusivo al rinnovo dei contratti dei precari.
«La normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato nel settore della scuola è contraria al diritto dell’Unione. Il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato»: è finalmente arrivata la sentenza della Corte di giustizia europea sui precari della scuola in Italia, ed è una sentenza dura, che non lascia aperte possibili interpretazioni attenuanti. I giudici sovranazionali hanno spiegato che la direttiva comunitaria contrasta con la nostra normativa nazionale che autorizza, in attesa dell’assunzione del personale di ruolo, il rinnovo dei posti vacanti e disponibili, senza indicare tempi certi ed escludendo possibilità di ottenere il risarcimento danno. In pratica, secondo la Corte, non esistono criteri «oggettivi e trasparenti» per giustificare la mancata assunzione del personale con oltre 36 mesi di servizio, né l’Italia ha fatto niente per impedire il ricorso abusivo al rinnovo dei contratti.
La sentenza della Corte Ue, per la precisione, risponde al quesito posto (con rinvio pregiudiziale) dalla Corte costituzionale e dal Tribunale di Napoli «se la normativa italiana sia conforme all’accordo quadro dell’Ue sul lavoro a tempo determinato». La questione trova la sua origine nelle cause presentate da un gruppo di lavoratori precari assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi in base a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione: tutti loro hanno lavorato durante periodi differenti, ma non sono mai state impiegati per meno di 45 mesi su un periodo di 5 anni. Sostenendo l’illegittimità di tali contratti, hanno quindi chiesto per via giudiziaria la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti nonché il risarcimento del danno subito. Secondo i giudici di Lussemburgo hanno sostanzialmente ragione: perché la normativa italiana non prevede alcuna misura che possa prevenire il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
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