L’astensionismo in Emilia-Romagna ha riguardato tutti
E soprattutto il M5S, dicono i dati dell'istituto Cattaneo
Come dopo ogni elezione in Italia, il centro studi indipendente “Carlo Cattaneo” ha diffuso le sue analisi sui dati e i flussi elettorali riguardo le recenti elezioni amministrative in Emilia-Romagna e in Calabria. La lettura degli studi – che si possono scaricare gratuitamente qui – è particolarmente interessante perché dopo il voto si è discusso molto dell’altissima percentuale di persone che hanno deciso di astenersi, soprattutto in una regione dall’affluenza storicamente alta come l’Emilia-Romagna.
A differenza del 2010, il 23 novembre si votava in due sole regioni (oltre all’Emilia-Romagna la Calabria), aspetto che ha contribuito ad affievolire l’attenzione mediatica nazionale sull’evento. Inoltre, nel caso dell’Emilia Romagna emergeva chiaramente, dai sondaggi elettorali, la percezione di non contendibilità della regione, storicamente appannaggio del centro-sinistra e in cui, quindi, la capacità del singolo elettore di essere decisivo con il suo voto restava assolutamente irrisoria.
Detto questo, il risultato uscito dalle urne è clamoroso. Sin dalle prime elezioni del dopoguerra, l’Emilia-Romagna è sempre stata ai primi posti nella graduatoria nazionale della partecipazione, e questo è continuato ad avvenire anche in occasione delle elezioni più recenti in cui l’affluenza è diminuita. La partecipazione elettorale è stata letta, da molti studiosi, come una componente importante del cosiddetto “capitale sociale”, alla base del rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione così come tra cittadini e politica, vera e propria cifra distintiva che connotava la regione rispetto ad altre aree del paese. Il voto del 2014 segnala come questa eccezionalità emiliano-romagnola si sia quantomeno bruscamente interrotta. Mai l’affluenza era scesa in regione sotto il 68%. Il dato di un’affluenza pari ad appena il 37,7% è peraltro più basso di quello registrato alle stesse elezioni in Calabria (44,1%) e rappresenta il livello minimo raggiunto in tutte le regioni italiani chiamate al voto negli ultimi anni in occasione delle varie elezioni di diverso ordine (anche inferiore al precedente valore minimo del voto regionale in Sardegna nel 2014, dove si erano recati alle urne il 40,9% degli elettori).
Riguardo la provenienza degli elettori che hanno deciso di non votare in Emilia-Romagna, e le loro preferenze elettorali alle ultime elezioni europee, l’istituto Cattaneo è arrivato a queste conclusioni:
Notiamo che, sebbene tutti i partiti abbiano perso verso l’astensione, il M5S è il partito che maggiormente soffre di questa emorragia: verso il non-voto si dirige una percentuale fra il 63% (Bologna) e il 74% (Reggio Emilia) di chi aveva scelto i 5 stelle alle europee. Il Partito democratico e Forza Italia perdono voti verso l’astensione in maniera più contenuta ma pur sempre assai rilevante, e sostanzialmente nella stessa misura (media delle quattro città attorno al 43% del proprio elettorato). La Lega è la forza che riesce a limitare maggiormente i danni, subendo flussi verso l’astensione compresi fra il 20 e il 30% del proprio elettorato delle europee. Tutte le altre dinamiche elettorali possono considerarsi secondarie rispetto alla frana collettiva verso l’astensione. Si tratta comunque di segnali importanti sui quali val la pena di soffermarsi.
Consideriamo in primo luogo il successo (indubbio) della Lega: è noto il fatto che nell’intera regione la Lega ha avuto il doppio di voti di Forza Italia, e questo risultato è pure sorprendente, in quanto prima delle elezioni era in dubbio l’eventuale sorpasso di Lega su FI. Il successo della Lega appare determinato da quattro dinamiche. In primo luogo, la maggiore tenuta (anche se non assoluta, come abbiamo già detto) verso l’astensione. Poi un voto proveniente da Forza Italia: flusso è presente in tutte le città con una accentuazione a Parma, dove addirittura gli elettori di FI che hanno votato Lega sono superiori a quelli che hanno confermato il voto a FI. Una terza componente è un flusso di origine M5S, non rilevantissimo, ma significativo in quanto presente in tutte le città analizzate. Sappiamo che il successo di M5S nel 2013 fu determinato anche da elettori ex leghisti che avevano visto nel partito di Grillo un canale di protesta più credibile della Lega di allora: di fronte alle attuali difficoltà dei 5 stelle è facile ipotizzare un loro parziale “ritorno a casa”.
Infine notiamo che a contribuire al successo leghista c’è – in tutte le città – un flusso di voti dal Pd. Si tratta di un movimento elettorale a prima vista inaspettato. Tuttavia è possibile che l’appello di destra esplicita di Salvini (in particolare i toni aggressivi verso le minoranze etniche) abbia avuto una certa accoglienza presso frange popolari ed esposte al primo impatto con la marginalità sociale (ricordiamo come in Francia il lepenismo si sia avvalso di questa dinamica catturando simpatie presso ceti popolati già di sinistra).
Tornando al Partito democratico, rileviamo in tutte le città analizzate un flusso di voti verso l’area che abbiamo chiamato della “sinistra radicale” (Sel + L’altra Emilia-Romagna), ed anche, in tre città su quattro, un flusso verso i 5 stelle. Il primo movimento è probabilmente da ricondursi alle resistenze anti-renziane interne al Pd (e forse anche al recente scontro fra Renzi e il sindacato); ilsecondo potrebbe essere imputabile a ex elettori 5 stelle che nelle europee erano confluiti su Renzi e che ora, disillusi, “ritornano a casa” (ma si tratta – evidentemente – di pure ipotesi).