I 30 anni di Band Aid
Oggi nel 1984 una compagine mai vista di celebrità del pop-rock britannico registrò in una giornata una canzone che divenne un pezzo degli anni Ottanta
di Luca Sofri
Non era una cosa che si faceva allora: le case discografiche dovevano ancora dedicarsi così intensamente al filone delle supercollaborazioni, dei musicisti da mettere insieme, dei duetti, dei dischi pieni di ospiti. C’erano sempre stati i concerti con molti ospiti, da Woodstock in giù – qualche supergruppo rock – o rare invenzioni e opportunità incidentali, e poco replicate. Già quando David Bowie fece una canzone con i Queen, nel 1982, fu una cosa che ne parlavamo al bar, da ragazzi, e io comprai il 45 giri subito. Fu come quegli albi speciali a fumetti “Batman contro Supeman”.
E insomma, questa storia che si erano trovati tutti insieme – e sembravano davvero tutti – per fare una canzone, fu la notizia, per noi appassionati di canzonette. Li avevano messi insieme Bob Geldof e Midge Ure: il primo divenne davvero famoso anche da noi proprio in quei giorni lì, perché prima la sua band dei Boomtown Rats qui non aveva mai fatto sfracelli, salvo che per gli innamorati della loro canzone “I don’t like mondays”. Midge Ure invece era Midge Ure degli Ultravox, che tra i fans della new wave avevano una loro fama e dignità, non diminuite da svolte più pop successive. Ed erano riusciti a mettere insieme, per dirne alcuni, gli U2, i Wham, Sting, Phil Collins, i Duran Duran, gli Spandau Ballett, Boy George, gli Style Council, Paul McCartney. Un pateracchio di gente formidabile. Geldof e Ure li portarono il 25 novembre 1984 in uno studio di Londra, consegnando loro i versi di una canzone niente male – “Do they know it’s christmas” – che sparpagliata in brandelli da cantare ognuno il suo avrebbe potuto venire una schifezza kitsch mai immaginata prima e invece – pur andandoci vicinissima in più punti – uscì una cosa che finimmo tutti a canticchiare per giorni e mesi e anni.
Poi tutto questo serviva per beneficenza (contro la fame in Etiopia), e fu raccontato e riraccontato, ed eravamo ancora un po’ meno cinici di ora e tutta quella svenevolezza natalizia non fu sfottuta e demolita e seppellita nei social network. Ma a noialtri intorno ai vent’anni importava poco, e alla fine la storia fu tutta una cosa mai vista di fanatismo musicale. Nel giro di quattro giorni uscirono il disco con la canzone e il video di tutti loro che registravano in studio, passando il tempo insieme come se fosse normale, come noialtri che ne parlavamo al bar. E cosa si dicevano Bono e le Bananarama? E Paul Weller e George Michael?
Il disco fece il botto, e generò l’iniziativa simile degli americani – “We are the world”, USA for Africa – e i due concerti paralleli dell’estate successiva, “Live Aid“. E imitazioni successive che proseguono ancora oggi (una nuova versione per raccogliere fondi per curare ebola è appena uscita, con successo e qualche inciampo).
A risentirla ora, la canzone, non era male: qualcuno ha più merito, come Bono e Boy George, altri fanno la loro onesta parte, e sono tutti conciati che fanno un po’ ridere e un po’ tenerezza. Erano gli anni Ottanta della musica, artificiosi e ingenui allo stesso tempo, visti da qui: come la canzone.
– Luca Sofri: Le mie venti canzone di natale preferite