La più potente consigliera di Obama
Valerie Jarrett è una sua amica storica ed è considerata una delle persone più influenti alla Casa Bianca: secondo alcuni però è anche la causa dei suoi problemi
Uno dei consiglieri più influenti e vicini a Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, è una donna e si chiama Valerie Jarrett. È un’amica di famiglia degli Obama da molti anni, ben prima che il presidente americano cominciasse a fare politica, ma benché tutti i giornalisti politici statunitensi conoscano la sua importanza di lei si sa poco. Anita Dunn, ex direttrice della comunicazione di Obama una volta ha detto: «Il suo ruolo da quando è alla Casa Bianca è uno dei più ampi e più estesi che credo siano mai esistiti nella West Wing» l’ala ovest dove si trovano gli uffici del Presidente degli Stati Uniti d’America. Qualche giorno fa su New Republic Noam Scheiber ha scritto un lungo e documentato articolo su di lei: e secondo lui capire Jarrett è fondamentale per chiunque voglia capire Obama.
Intorno a Jarrett ci sono molte teorie e pettegolezzi, tanto che chi ci ha avuto a che fare ha timore di parlarne («Quando ho chiesto a una fonte di lunga data che ha lasciato anni fa la Casa Bianca le sue impressioni su Jarrett, mi ha confessato che aveva troppa paura di parlare con me, anche in via ufficiosa», racconta Scheiber). In un secondo e successivo articolo il giornalista ha spiegato in modo esplicito il motivo del suo primo articolo: «La sua figura alimenta molte speculazioni e dibattiti circa il suo ruolo alla Casa Bianca; dibattiti che hanno a che fare con la questione se la sua presenza sia utile o dannosa per il presidente. Ho pensato che scrivere una storia completa sul tema avrebbe potuto essere utile».
Le principali critiche di Scheiber sono tre: Jarrett non è in grado di dire dei no a Obama; oggi alla Casa Bianca non lavorano più persone che potevano dire di no a Obama; sia lei che Obama hanno una visione troppo “ragionevole” della politica.
Chi è, tanto per cominciare
Valerie Jarrett ha da poco compiuto 58 anni ed è nata a Shiraz, in Iran, dove il padre, un medico afroamericano, dirigeva un ospedale per bambini. Quando aveva 5 anni si trasferì con la famiglia a Londra per un anno e poi tornò a Chicago nel 1963. Jarrett ha frequentato la Northfield Mount Hermon, una scuola molto prestigiosa e importante, laureandosi in Psicologia alla Stanford University nel 1978 e in Giurisprudenza alla University of Michigan Law School nel 1981. Si è sposata, si è separata e ha una figlia.
Valerie Jarrett iniziò la sua carriera politica a Chicago nel 1987 lavorando per il sindaco Harold Washington come vice consigliere per la finanza e lo sviluppo. Continuò ad avere incarichi nell’ufficio del sindaco anche durante gli anni Novanta: in quel periodo assunse Michelle Robinson – che oggi noi conosciamo come Michelle Obama – in uno studio privato di avvocati. Attualmente Jarrett è una dei tre consiglieri anziani del presidente Obama e lo assiste per quanto riguarda gli affari governativi: dirige, tra l’altro, la commissione delle donne alla Casa Bianca. Ma pare faccia molto di più.
Valerie Jarrett e Barack Obama
Obama stesso, scrive Noam Scheiber, ha detto di consultare Jarrett su ogni decisione importante, cosa che è confermata dagli altri suoi collaboratori. Quest’estate la decisione di inviare il procuratore generale Eric Holder a Ferguson, in Missouri, dopo l’uccisione di Michael Brown è stata presa da tre persone: Holder, il presidente e Jarrett. Jarrett ha un ruolo fondamentale nelle scelte del governo, ha voce in capitolo per quanto riguarda le nomine degli ambasciatori o dei giudici, è importante nel determinare chi siederà accanto alla First Lady durante il discorso sullo Stato dell’Unione e chi dovrà essere invitato alle cene ufficiali. Inoltre, spiega Scheiber, ha ottenuto posti importanti per le persone a lei vicine e nei cosiddetti incontri bilaterali – quelli che si svolgono con un numero pari di rappresentanti per i due paesi – gli Stati Uniti in genere si presentano con una persona in più: Jarrett.
Prima di iniziare a spiegare nel dettaglio quelli che secondo lui sono i punti deboli della coppia Obama-Jarrett, l’articolo arriva a definire la posizione di Jarrett come colei che si occupa di fare in modo che le decisioni di Obama da presidente siano coerenti con il-vero-Obama. Lei sarebbe insomma una persona in grado di riflettere e ricordare a Obama la sua versione “più autentica”, quella precedente alla sua elezione alla Casa Bianca, così da ricordargli di continuo chi lui è davvero. Allo stesso tempo Jarrett può essere per gli osservatori esterni un utile ponte di collegamento per capire un presidente ancora imperscrutabile: «Dieci anni dopo la sua ascesa lo conosciamo ancora poco e c’è uno divario spiazzante tra i suoi talenti e l’entusiasmo per le sue azioni da presidente. Per questo non stupisce la curiosità attorno a Jarrett. Lei è la cosa più vicina a un “decoder umano”: l’unica persona che può decifrare il mistero e spiegare perché questo presidente ha deluso molte persone». Ed è anche per questo che è utile occuparsene.
Jarrett, yes-woman
La figura e il ruolo di Jarrett hanno alimentato illazioni, lamentele e critiche nei suoi confronti (e, di conseguenza, nei confronti del presidente stesso). Critiche che oscillano in due diverse direzioni: c’è chi afferma che Jarrett abbia troppa importanza e chi, al contrario, sostiene che sia una yes-woman, che non sia in grado di opporsi al presidente o fargli capire quando una cosa è sbagliata.
Scheiber dice che in quest’ultima affermazione c’è un elemento di verità e racconta un aneddoto. Mentre si trovava a bordo dell’Air Force One alla fine della campagna presidenziale del 2012, Jarrett si rivolse a Obama e gli disse: «Signor presidente, non capisco come possa non prendere l’85 per cento dei voti». Gli altri collaboratori di Obama si guardarono increduli prima di concludere che la domanda di Jarrett era davvero sincera. Tuttavia, precisa il giornalista, il ruolo di Jarrett è molto più di quanto questo racconto suggerisca. Jarrett è infatti intervenuta in diverse occasioni per “correggere” il presidente. Per esempio quando gli consigliò di essere meno critico nei confronti della polizia che nel 2009 aveva arrestato per sbaglio Henry Louis Gates, professore nero dell’Università di Harvard, scambiandolo per un ladro. Scheiber ammette però che questi episodi sono piuttosto rari e comunque fanno riferimento ai primi anni del suo mandato.
Valerie Jarrett e gli altri
All’inizio del primo mandato di Obama, Jarrett alla Casa Bianca non era percepita come una persona così influente. Era stata molto importante durante la campagna elettorale, soprattutto nell’aver spinto il presidente a occuparsi dei diritti civili di latinos, neri, gay e donne. Ma la sua mancanza di esperienza a Washington (e la scarsa comprensione della profondità del suo legame con Obama) portò gli altri responsabili dell’amministrazione a sottovalutarla. Con il tempo, però, divenne sempre più chiaro che Jarrett «aveva la benedizione del presidente a sfidare i piani alti e allinearli allo stile da outsider della sua candidatura alla Casa Bianca».
L’influenza di Jarrett sul presidente è stata in alcune occasioni positiva. Come quando, contro la volontà di un altro importante membro dello staff, compose un numero di telefono e passò il cellulare a Obama perché parlasse con Donna Brazile, importante democratica ex responsabile della campagna di Al Gore che aveva criticato l’amministrazione per non essere intervenuta tempestivamente sulla questione della fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico. La telefonata si rivelò la giusta scelta da fare dato che, qualche tempo dopo, relativamente ad un altro episodio, Brazile prese le parti della casa Bianca.
Il problema è che inizialmente alla Casa Bianca lavoravano persone come Larry Summers, rispettato economista ed ex rettore di Harvard, o l’ex capo di gabinetto Rahm Emanuel oggi sindaco di Chicago, o ancora l’ex addetto stampa Robert Gibbs, che avevano su alcune cose visioni e idee differenti rispetto a Obama: Jarrett stessa offriva un punto di vista alternativo nel dibattito interno senza però soffocarlo. A poco a poco però se ne sono andati tutti tranne Jarrett: «Lei è l’unica sopravvissuta», scrive Scheiber. Scheiber precisa che questa è la sua principale critica:
«Avere una persona forte nella vostra cerchia interna funziona solo quando ci sono altre voci forti all’esterno che possano bilanciare: è bello avere qualcuno di peso quando si deve prendere una particolare decisione che è coerente con la propria filosofia personale. Ma a volte la filosofia personale semplicemente non è molto adatta al momento. In questo caso è utile avere gente intorno che possa dire: “Signor presidente, so che lei non è a suo agio con fare questa cosa, ma è quello che deve essere fatto oggi”. Il problema è che con il passare degli anni le persone che potevano dire questo genere di cose a Obama hanno progressivamente lasciato la Casa Bianca, e non sono state sostituite da altri come loro».
Durante le prime fasi della campagna elettorale per le primarie del 2008, Obama si era rifiutato di indossare la classica spilletta con la bandiera americana sul risvolto della giacca, perché lo trovava di cattivo gusto e pensava fosse qualcosa che banalizzasse il suo patriottismo invece che esprimerlo. Alla fine alcuni dei suoi collaboratori lo convinsero che non era il momento giusto per fare obiezioni così sottili. Un consulente intervistato da Scheiber ha commentato aggiungendo che ora non c’è nessuno accanto al presidente che gli farebbe indossare quella spilla: «Certamente non Jarrett».
Obama e Valerie Jarrett
Scheiber, nel suo articolo, spiega che Jarrett è stata funzionale al presidente in più di un’occasione per ammorbidire o rendere più digeribili certe decisioni. E questo soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la comunità LGBT, di cui Jarrett è sempre stata una grande sostenitrice, da molto prima che lo stesso Obama prendesse chiaramente posizione sulla questione del matrimonio omosessuale.
Quando Obama decise di non firmare, nel 2012, un ordine esecutivo che vietava alle aziende che lavorano con la pubblica amministrazione di discriminare gli impiegati etero da quelli gay nel fornire servizi e benefit, mandò proprio Jarrett a dare la notizia ai gruppi LGBT. Jarrett ottenne che un sondaggio che non giustificava la decisione di Obama non venisse reso pubblico da quelle associazioni, evitando di mettere in imbarazzo l’amministrazione o di creare intorno a quella storia una grande pressione dell’opinione pubblica; Obama mesi dopo ha firmato quell’ordine esecutivo. In altri casi l’intervento di Jarrett non è stato altrettanto positivo: come nel caso della mediazione con i gruppi di riforma della Casa Bianca sul tema dell’immigrazione, riforma che poi Obama ha presentato nelle ultime ore.
Perché la coppia non funziona
Il problema di fondo, secondo Scheiber, è che Jarrett è una donna molto vicina alle élites. Scheiber definisce la filosofia politica di Jarrett e Obama visione “boardroom liberalism” (liberalismo da sala consiliare): una visione del mondo intrisa di progressismo sociale, di valori ispirati alla tolleranza e alla diversità, ma fondata in realtà su una visione imposta dall’alto che presuppone che il mondo funzioni meglio quando le élites usano il loro potere in modo magnanimo e non quando sono costrette a condividere quel potere con i cittadini.
Questo liberalismo, secondo Scheiber, si applica attraverso una precisa metodologia: Obama ha sempre preferito negoziare a porte chiuse, anche con i repubblicani, decidendo raramente di mobilitare l’opinione pubblica: «Per il “boardroom liberalism”, il modo per risolvere i problemi è sedersi a un tavolo con altre persone che possiamo definire potenti» ed evitare lo scontro pubblico. Clinton era più moderato e conservatore di Obama, dice Scheiber, ma ha agito facendo l’esatto contrario dando così l’idea di essere più coinvolgente e meno lontano dal popolo.
Quest’ultimo punto, conclude Scheiber, ci fa tornare all’inizio della storia: «Obama ha molti talenti e credo che i suoi valori siano fondamentalmente sani». Ma ci sono stati molti momenti nel suo mandato in cui le sue decisioni erano semplicemente sbagliate o avevano un metodo sbagliato: per esempio quando ha cercato di ragionare su certe questioni con i repubblicani più radicali «che sono praticamente immuni alla ragione». Purtroppo Valerie Jarrett non avrebbe mai potuto far notare al presidente che stava sbagliando, scrive Scheiber: e dopo i primi anni del suo mandato non c’erano altre persone intorno a lui a poterlo fare.