Mario Monti e le Olimpiadi del 2020
L'ex presidente del Consiglio ha difeso la scelta di non aver sostenuto la candidatura dell'Italia, smentendo una frase che gli era stata attribuita da Matteo Renzi
Con una lettera pubblicata oggi sul Corriere della Sera, l’ex presidente del Consiglio Mario Monti ha ricordato le circostanze che lo spinsero a rifiutare di sostenere la candidatura per l’Italia come ospite delle Olimpiadi estive del 2020. Monti ha così risposto a una dichiarazione di due giorni fa dell’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi, che parlando di una possibile candidatura dell’Italia per ospitare le Olimpiadi estive del 2024 aveva detto: «mi colpì molto quando [Monti, nel 2012] disse “non facciamo le Olimpiadi perché è un progetto troppo grande per l’Italia”. Io invece dico che non c’è alcun progetto troppo grande per l’Italia».
Con la lettera di oggi, Monti risponde di non aver «mai detto quanto Renzi mi attribuisce». Sostiene invece che all’epoca rispose invece di aver rifiutato di sostenere la candidatura dell’Italia per evitare di indebolire l’idea che il suo governo stava facendo dei grossi sforzi per il risanamento finanziario del paese. Monti aggiunge che sarebbe stato più facile e “spendibile” dal punto di vista politico accettare di sostenere la candidatura – «dopo tutto, gli aggravi per le casse dello Stato sarebbero venuti solo dopo qualche anno» – ma che scelse di non farlo data la delicata condizione economica italiana.
Caro direttore, il Corriere di ieri ha riportato le dichiarazioni di Matteo Renzi a sostegno della candidatura di Roma per l’ Olimpiade del 2024. Il premier ha detto tra l’altro: «A me colpì molto Monti quando disse che le Olimpiadi erano un progetto troppo grande per l’Italia. Ma non c’è progetto troppo grande per l’Italia».
Non ho mai detto quanto Renzi mi attribuisce. L’Italia già nel 1960 ha organizzato con successo i giochi di Roma. Nel 2004 ci è riuscita bene la Grecia ad Atene. Sarebbe sciocco pensare che le Olimpiadi siano un progetto troppo grande per l’Italia. Il 14 febbraio 2012, quale premier e ministro dell’Economia, decisi di non firmare l’impegno che mi veniva richiesto dal Comitato olimpico internazionale per prendere in considerazione la candidatura di Roma all’ Olimpiade del 2020. Firmandolo, avrei obbligato lo Stato, cioè in concreto i governi che sarebbero venuti negli anni successivi, a pagare ogni eventuale eccedenza di costi rispetto a quelli coperti dal comitato organizzatore.
Forse Renzi non ricorda quali erano le condizioni del Paese in quella fase. Lo spread non era più a quota 575 punti come nel novembre 2011, ma era ancora intorno ai 400 punti. Nei mercati e tra i governi dei maggiori Paesi erano ancora molti coloro che pensavano che l’Italia sarebbe uscita dal «rischio insolvenza» solo ricorrendo a prestiti di salvataggio della Ue e del Fmi, sottoponendosi così a «protettorato» da parte della troika. Del resto, molti osservatori attribuivano la crisi della Grecia, scoppiata nel 2009, anche alle conseguenze finanziarie dello sforzo olimpico. Quel 14 febbraio dissi in conferenza stampa: «Non vogliamo che la percezione che stiamo faticosamente cercando di dare dell’Italia negli ambienti internazionali, nell’Ue, nei mercati, possa essere compromessa da improvvisi dubbi, magari alimentati dai concorrenti dell’Italia nella sfida olimpica, circa la serietà dei propositi di risanamento finanziario del Paese.
In fondo, se siamo qui a fare i conti con una situazione finanziaria così difficile è perché tante volte nel passato sono state prese, da governi di ogni segno, decisioni senza avere molto riguardo a quali sarebbero state le conseguenze finanziarie negli anni successivi».
Forse un politico purosangue ed empatico avrebbe «letto» negli italiani, proprio in quel difficile inverno, la voglia di distrarsi dai pesanti sacrifici, la voglia di «sognare» le Olimpiadi. Avrebbe intravisto popolarità, voti e magari altri sostegni, di fronte ad una decisione «coraggiosa», quella di dire «sì!», come voleva il fortissimo pressing di una grande maggioranza del Parlamento, dei dirigenti e di molti campioni dello sport, di vasti interessi imprenditoriali. Dopo tutto, gli aggravi per le casse dello Stato sarebbero venuti solo dopo qualche anno.
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foto: VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images