Storie dei numeri 7 del Manchester United
Da George Best a Cristiano Ronaldo, da Cantona a Beckham fino a Di María: aneddoti e storie su una delle maglie più famose e importanti del calcio mondiale
Matteo Gatto ha raccontato sulla rivista online Ultimo Uomo le vicende di otto giocatori che negli ultimi anni hanno indossato la maglia numero sette del Manchester United: quasi tutti grandissimi giocatori, passati per Manchester per essere poi ceduti a cifre enormi ad altre squadre – è il caso di Robson e Cristiano Ronaldo – oppure diventati bandiere della squadra come George Best o Eric Cantona (e ancora, entrambe le cose: come David Beckham). Dopo 28 anni consecutivi fra Robson, Cantona, Beckham e Ronaldo, Gatto scrive che la maglia numero 7 ha iniziato a «a girare a vuoto»: dopo essere stata indossata da Michael Owen e Antonio Valencia – due che non ne hanno lasciato un gran segno, diciamo – da questa stagione è la maglia del forte 26enne centrocampista argentino Ángel Di María, acquistato dal Real Madrid e diventato il quinto acquisto più costoso nella storia del calcio. Di María finora ha giocato con il Manchester United 10 partite, segnando 3 gol e fornendo 5 assist.
“Senti Matt, ma Tommy che fine ha fatto? Che razza di amico è, che non passa a trovarmi?”. Johnny Berry stava nel suo letto d’ospedale con il cranio fratturato, un gomito e una gamba spezzati, il bacino rotto e senza tutti i denti, rimossi mentre gli sistemavano la mascella, rotta anche quella. Nei sette anni precedenti a quel letto, era stato l’ottimo numero 7 del Manchester United. Non si rendeva ancora conto di quanto fosse grave l’incidente in cui si era trovato. Tommy era Thomas Taylor, il centravanti, che non andava a trovare Johnny perché, come altri sette giocatori dello United, era rimasto ucciso nel disastro aereo di Monaco di Baviera, il 6 febbraio del ’58, di ritorno da un 3–3 in casa della Stella Rossa di Belgrado che li aveva inutilmente qualificati alle semifinali di Coppa dei Campioni.
Matt era Matt Busby, l’allenatore di quella squadra giovanissima e mancunianissima, ormai distrutta: li chiamavano i Busby Babes. A Busby avevano rimesso a posto le ossa del piede senza anestetico, una alla volta, una al giorno: “Fu doloroso, ma mai quanto sentire Johnny lamentarsi di come Tommy fosse un pessimo amico.” Matt Busby la Coppa Campioni l’avrebbe inseguita e finalmente vinta dieci anni dopo assieme ad altri due sopravvissuti, Bill Foulkes e Bobby Charlton: il Manchester United fu la prima squadra inglese campione d’Europa, liberatasi dall’ossessione di quel traguardo e di quello schianto grazie al gol di un fenomeno con la maglia numero 7 che era stata di Johnny Berry.
Best in europe
George Best era fedele a ben poche cose, e in realtà il suo rapporto con la 7 dello United è stato meno intenso di quanto ci piaccia ricordare. A Manchester Best ha giocato su tutto il fronte offensivo, “scorrazzavo per il campo, una sensazione fantastica”, indossando principalmente la 11 e molto spesso anche la 8 e la 10 (la 9 no, era di Charlton). Se la storia gli ha poi lasciato la 7, in parte si tratta di un’assegnazione retroattiva, considerato chi l’ha indossata dopo, ma in gran parte c’è che la 7 è la maglia con cui Best ha avuto i suoi momenti di grazia europea, una trance agonistica notturna e luminosa che coincide quasi completamente con le prime prepotenze e le prime vittorie del calcio inglese nella snobbata e temuta Europa.