Il nuovo emendamento al Jobs Act
La Commissione Lavoro della Camera ha votato un emendamento del governo che fa riferimento all'articolo 18 e riduce le tutele in caso di licenziamento economico e disciplinare
La Commissione Lavoro della Camera – che da venerdì 14 novembre sta lavorando agli emendamenti al Jobs Act, la legge delega di riforma del mercato del lavoro già approvata dal Senato lo scorso 9 ottobre – ha dato parere favorevole a un emendamento del governo che fa esplicito riferimento all’articolo 18 che fino ad ora non era stato inserito nel testo. Movimento 5 Stelle, Sel, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro e subito dopo hanno abbandonato i lavori in segno di protesta. Il voto finale alla legge delega è previsto per il 26 novembre.
Il nuovo emendamento
L’emendamento (a prima firma di Marialuisa Gnecchi del PD) modifica la lettera c) del comma 7 del testo. Nella versione del provvedimento approvata dal Senato, la norma si limitava a indicare come principio la «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio». L’indicazione riguardava i decreti delegati: ricordiamo che il cosiddetto “Jobs Act” è una legge delega, un documento che deve essere votato da entrambe le Camere che non disciplina nel dettaglio la materia, ma che contiene una serie di principi e criteri direttivi entro i quali il governo viene “delegato” a legiferare in un secondo momento. Di fatto, dunque, nel testo approvato al Senato il tema dei licenziamenti e delle garanzie sull’articolo dello Statuto dei lavoratori che tutela gli illeciti – punto sul quale si era manifestata la maggior parte del dissenso, anche interno al PD – non c’era. Con l’emendamento approvato oggi (che recepisce il documento votato dalla Direzione del Partito Democratico in un’assemblea che si era svolta il 29 settembre) si aggiungono al testo le seguenti parole:
«escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento».
Cosa cambia l’emendamento
In caso di licenziamento discriminatorio o nullo perché ha violato una serie di norme fondamentali (come quelle a tutela della maternità e della paternità, degli orientamenti sessuali, della religione, delle opinioni politiche, dell’attività sindacale e così via) le tutele resteranno quelle previste dall’articolo 18: si continuerà ad applicare quella che viene definita “tutela reale piena”. Il o la dipendente (visto che nella maggior parte dei casi la discriminazione riguarda le donne) saranno rimessi al loro posto di lavoro nelle condizioni di pre-licenziamento (il cosiddetto reintegro). Dovrà essere dunque assicurato lo stesso trattamento economico e la stessa posizione che avevano prima.
Il problema, scrive però La Stampa, è che «nessun imprenditore dirà mai che licenzia per le idee politiche o l’orientamento sessuale del dipendente, cosa proibita da legge e Costituzione, ma lo definirà ”economico”». E in questo specifico caso il nuovo emendamento modifica l’articolo 18. Scompare, infatti, la possibilità del diritto al reintegro per i licenziamenti di natura economica, i licenziamenti illegittimi perché non c’è un giustificato motivo oggettivo alla base (non c’è insomma una effettiva e provata situazione economica o organizzativa dell’azienda che lo giustifichi). I decreti attuativi dovranno però chiarire quando un licenziamento sarà per motivi economici: sarà legato alle difficoltà economiche dell’azienda che licenzia, oppure sarà sufficiente una crisi del mercato? E come dovrà essere giustificata la necessità di sopprimere un certo posto di lavoro all’interno dell’impresa? Cambia inoltre il sistema degli indennizzi: il lavoratore avrà diritto solo alla “tutela indennitaria” e cioè a un indennizzo crescente con l’anzianità aziendale (l’articolo 18 prevede un risarcimento che va da un minimo di dodici a un massimo di ventiquattro mensilità).
Il reintegro resterà «per alcune fattispecie» di quelli disciplinari. Si rinvia quindi ai decreti delegati la specificazione dei casi in cui sarebbe ammessa la reintegrazione: qui la delega resta dunque vaga perché non si dice con quale criterio verrà fatta la specificazione dei diversi casi. Scrive Repubblica: «andranno definiti quali comportamenti del lavoratore potranno essere sanzionati per evitare possibili abusi – sotto forma di minacce o ricatti – dei superiori. Insomma andranno tipizzati per ridurre al minimo i possibili contenziosi».
(Come funzionano le tutele dell’articolo 18)
La Commissione Lavoro della Camera ha bocciato, sempre oggi, l’emendamento presentato da Sinistra Ecologia Libertà contro le dimissioni in bianco, le dimissioni che alcune aziende fanno firmare al momento dell’assunzione e che riguardano soprattutto le donne.
Le principali reazioni
Dopo la presentazione dell’emendamento Maurizio Sacconi, di NCD ha detto: «il governo ha indicato correttamente la formulazione concordata». Inoltre, «vi è l’intesa che le fattispecie previste per i licenziamenti dovranno essere disegnate in modo così circoscritto e certo da non consentire discrezionalità alcuna al magistrato, in modo che i datori di lavoro abbiano quella prevedibilità dell’applicazione della norma che li può incoraggiare ad utilizzare i contratti a tempo indeterminato».
La segretaria della Cgil, Susanna Camusso ha invece detto: «Mi pare che ci sia un sostanziale accanimento rispetto all’idea che bisogna ridimensionare sempre di più la funzione dell’articolo 18». E ancora: «Ci pare difficile dare un giudizio positivo». Dello stesso parere il responsabile Lavoro di Sel, Giorgio Airaudo: «Ha vinto Sacconi: ora è esplicitato che per i licenziamenti economici non c’è il reintegro e per i disciplinari dobbiamo aspettare la trattativa lobbistica sui decreti attuativi». Pippo Civati (che ha già dichiarato che in aula voterà contro il Jobs Act) ha precisato: «è abbastanza clamoroso che i ‘nuovi’ politici aboliscano l’articolo 18 solo per i nuovi assunti». Le nuove norme infatti saranno valide solo per i neoassunti e per chi cambia azienda: per tutti gli altri non cambierà nulla creando dunque delle differenze tra lavoratori.