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  • Martedì 18 novembre 2014

I fiumi di Milano

È una delle poche grandi città europee dove l'acqua sembra non esserci, finché non arrivano i guai: perché i fiumi scorrono sotto terra e come si vuole risolvere la situazione

di Marta Cantoni

©ALDO MARTINUZZI/LAPRESSE
25-07-2003
MILANO 
INTERNI
NAVIGLI DI MILANO
NELLA FOTO: UNA VEDUTA DEL NAVIGLIO GRANDE DI MILANO.
©ALDO MARTINUZZI/LAPRESSE 25-07-2003 MILANO INTERNI NAVIGLI DI MILANO NELLA FOTO: UNA VEDUTA DEL NAVIGLIO GRANDE DI MILANO.

A differenza della maggioranza delle altre grandi città europee, Milano è una città nella cui planimetria e vita quotidiana l’acqua non ha un ruolo maggiore: niente mare, niente lago, niente fiume che ne attraversa il centro. Però Milano è una città con molti fiumi – l’Olona, il Lambro, il Seveso, il Ticino e l’Adda – che fino all’inizio del Novecento venivano usati comunemente come mezzo di trasporto all’interno della città: nelle controverse ipotesi sul nome della città, che deriva dal latino “Mediolanum”, una ritiene che significasse proprio “luogo fra corsi d’acqua”. Oggi spesso ci si ricorda dei fiumi di Milano, specie se non ci si vive, quando accade qualche guaio.

In questi ultimi giorni le forti piogge hanno fatto esondare più volte i fiumi Seveso e Lambro, con conseguenti allagamenti e disagi in alcuni quartieri nella zona nordest di Milano. Il Seveso ha allagato la zona Niguarda, già colpita in passato da questo problema (si ricorda un’esondazione molto vasta nel 2010, che causò numerosi danni al quartiere) e la zona nord fino a viale Fulvio Testi, viale Zara e la circonvallazione di viale Marche. Anche il Lambro è esondato, causando problemi nel quartiere del parco omonimo e fino a Monza. Questi allagamenti hanno riportato l’attenzione sull’esistenza e sui problemi delle vie d’acqua di Milano.

Ci sono altri corsi d’acqua, oltre a questi fiumi. Intorno al Quattrocento furono costruiti i canali noti come “Navigli” (tranne il Naviglio Grande che fu iniziato già nel 1152 come canale difensivo) che non sono solo i due più noti, ma cinque: questi sistemi di canali navigabili univano la città con i fiumi circostanti. Oggi però i milanesi con la parola Navigli (“in zona Navigli”, si dice) identificano i due tratti scoperti del Naviglio Grande e di quello Pavese, a sud della città nella zona fuori dalla Porta Ticinese: ma viene detta “Cerchia dei Navigli” quella che oggi è una circonvallazione stradale molto centrale, che segue l’antico corso di un canale. C’è poi anche quello della Martesana, a nord-est della città, che porta a tre i tratti visibili dei canali.

Una mappa dei corsi d’acqua di Milano oggi: in rosso quelli tombinati, in blu quelli scoperti. Si ingrandisce con un click.

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I vari corsi d’acqua hanno avuto diversi utilizzi a seconda delle epoche, prima di essere quasi interamente interrati. Inizialmente le vie d’acqua venivano usate per pulire le fognature della città – la sporcizia veniva poi trasportata fuori da Milano dal corso del Lambro Meridionale – e per facilitare i trasporti. Nel Duecento diventarono soprattutto un elemento difensivo, ma venivano usati anche per irrigare i campi e dare forza motrice dei mulini. Alla fine del Trecento si cominciò a pensare all’acqua come un mezzo comodo e veloce per trasportare persone e cose all’interno della città, e nacquero così i Navigli.

I cinque Navigli di Milano ora sono quasi tutti coperti, interrati e inutilizzati, se non per l’irrigazione fuori città, ma una volta c’erano molte imbarcazioni che andavano avanti e indietro. Il Naviglio Grande è lungo circa 50 chilometri e parte dal fiume Ticino, a nord-ovest di Milano, per finire nella Darsena di Porta Ticinese: un bacino acqueo artificiale di cui va avanti lentamente da molti anni un progetto di riqualificazione. Il Naviglio Grande fu il primo canale navigabile d’Europa: fu utilizzato dal Seicento fino al 1950 come corso d’acqua navigabile vero e proprio, con un suo servizio di trasporto molto attivo. Oggi una società regionale, la Navigli Lombardi, ha ripristinato un servizio di battelli per fare giri turistici sui tratti scoperti.

Il Naviglio Pavese è più corto di quello Grande (circa 33 chilometri) e fa il percorso inverso: prende le acque dalla Darsena di Porta Ticinese, a Milano, per poi sfociare nel Ticino, nei pressi di Pavia. La sua funzione principale era collegare Milano al Po, e quindi al mare, per riuscire a controllare i ricchi scambi commerciali; oggi è utilizzato principalmente per l’irrigazione. Il Naviglio di Bereguardo, lungo 19 chilometri, nasce direttamente dal Naviglio Grande, vicino ad Abbiategrasso, e termina a Bereguardo, a nord-ovest di Pavia. Il Naviglio di Paderno è il più piccolo dei cinque, è lungo 2,6 chilometri e scorre in parallelo al fiume Adda, a nord-est di Milano. Lo scopo di questo canale era riuscire a superare una parte dell’Adda che non era navigabile, per evitare di dover trasportare via terra le merci che scendevano dal lago di Como lungo il fiume.

Infine c’è il Naviglio della Martesana, che scorre all’aperto per 38 chilometri prima di essere tombinato alla fine di via Melchiorre Gioia, una delle principali vie di Milano che attraversa la città da sud a nord. Prima della sua chiusura, il Naviglio della Martesana seguiva il percorso dell’attuale via Melchiorre Gioia fino alla chiusa di San Marco, chiamata anche Conca dell’Incoronata, un’opera idraulica (che funziona come un portone d’entrata) che permetteva alle imbarcazioni di superare i dislivelli del canale. Oggi è asciutta ma è la più antica ancora visibile in città, realizzata nel 1496 con il contributo di Leonardo da Vinci. Attraverso questa chiusa il Naviglio della Martesana entrava in città e si ricongiungeva con la cerchia interna dei Navigli.

Fiumi interrati e fiumi tombinati
Oggi Milano è ancora attraversata da questi canali, ma i loro corsi d’acqua sono stati in larga parte interrati o tombinati nel corso degli anni a causa dell’espansione edilizia della città.

Quando si parla di tombinatura, si intende la procedura con cui il letto di un fiume viene convogliato dentro un tubo di cemento e quindi ricoperto, in genere per permettere lo sfruttamento del terreno al di sopra, per costruire strade o palazzi o in generale sviluppare l’area urbanisticamente. Questa soluzione non porta particolari problemi se il calcolo delle dimensioni del tubo tiene conto della portata delle piene periodiche del corso d’acqua delle piene periodiche del corso d’acqua (di norma il riferimento per il calcolo sono quelle chiamate piene centennali) e se la rete idraulica intorno viene strutturata opportunamente. Quando si parla di interramento, si intende il processo per cui un corso d’acqua viene completamente cancellato: si riempie il letto con terra e detriti fino alla sua totale scomparsa.

I lavori per l’interramento della cerchia interna dei Navigli a Milano cominciarono il 16 marzo 1929: i letti dei canali vennero riempiti di terra e detriti allo scopo di costruire grandi strade e migliorare i trasporti di superficie in città. Periodicamente si parla di una riapertura dei Navigli – esistono anche campagne e movimenti di opinione a favore – e nel 2013 il comune affidò uno “studio di fattibilità” a un gruppo di esperti coordinato dal Politecnico di Milano. Risultato: sarebbe possibile, per quanto sicuramente complesso e costoso.

Il tombinamento più famoso invece riguarda il fiume Seveso, che passa sotto la città per molti chilometri: circa 9 da Bresso, a nord di Milano, fino all’unione con il Naviglio della Martesana. Il Seveso si unisce alla Martesana proprio sotto via Melchiorre Gioia. È parzialmente tombinato anche il Lambro, il maggiore dei tre fiumi milanesi, che però è anche l’unico a scorrere a cielo aperto nella maggior parte del suo percorso in città. Attraversa Cascina Gobba, Cimiano, parco Lambro, Lambrate e il quartiere dell’Ortica, fino a parco Forlanini.

I fiumi tombinati hanno bisogno di molta manutenzione, per evitare che i tubi e i vari segmenti della rete idraulica si ostruiscano. Le esondazioni e gli allagamenti sono spesso causati da piogge molto forti – apparentemente più frequenti negli ultimi anni – che ingrossano i fiumi e li fanno uscire dalla rete in superficie attraverso i chiusini. Le aree molto urbanizzate, come Milano e provincia, sono completamente impermeabili: una volta il terreno agricolo assorbiva l’acqua in eccesso e permetteva di limitare la quantità di acqua incanalata nei tombini e nei corsi sotterranei, mentre ora c’è soltanto l’asfalto che non drena e genera l’effetto lago che abbiamo visto in questi giorni.

L’Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPO), insieme con la regione Lombardia, studia da anni il problema del Seveso per trovare una soluzione che metta d’accordo tutti i comuni coinvolti e le loro diverse esigenze. L’ipotesi più concreta al momento è la costruzione di vasche di laminazione (chiamate anche casse di espansione) in alcune aree fuori Milano. Il progetto costerà intorno ai 130 milioni di euro e comprenderà cinque aree: i lavori per la prima zona, fuori Senago (a nord-ovest di Milano), dovrebbero partire nell’estate del 2015. Le vasche di laminazione funzionano come dei serbatoi in cui l’acqua viene temporaneamente incanalata quando c’è un rischio di esondazione, per poi essere rilasciata gradualmente quando la portata del fiume è tornata a livelli normali. Le vasche non saranno in cemento ma semplicemente circondate da argini di terra, per avere un impatto più basso possibile sull’ambiente.

Il problema è che i comuni in cui sono previste le costruzioni di queste aree non sono favorevoli al progetto, poiché le zone da utilizzare erano già state destinate ad altri usi, come parchi e zone di ristoro, e perché le esondazioni li riguardano relativamente poco. Inoltre l’acqua del Seveso è molto sporca e le amministrazioni locali temono l’impatto che l’utilizzo di queste vasche potrebbe avere sull’ambiente. Il comune di Milano propone di inserire degli impianti di depurazione nel progetto per risolvere il problema, e “risarcire” la zona di Senago investendo 1,2 milioni di euro in “interventi ambientali e paesaggistici”: rimboschimenti, prati, depurazioni e percorsi naturalistici pedonali. Ma è una questione politica complicata: i fondi sono stati stanziati dal comune di Milano e dalla regione Lombardia ma non ancora dal governo, che comunque ha promesso 80 milioni. E sebbene il presidente leghista della Lombardia, Roberto Maroni, dica che le vasche di Senago sono fondamentali, la Lega in Parlamento ha cercato di ostacolare l’approvazione del progetto.