Si può aggiustare la diplomazia europea?
Di solito se ne parla solo per dire che è irrilevante, ma c'è chi spera che possa cambiare parecchio ora che è arrivata Federica Mogherini: ieri ha presieduto il suo primo Consiglio dell'UE
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
La mattina di venerdì 28 febbraio 2014 nelle redazioni di tutto il mondo cominciarono ad arrivare notizie inquietanti dalla Crimea, una regione autonoma dell’Ucraina. Uomini armati in uniforme verde e con il volto coperto avevano occupato l’aeroporto della capitale della regione, mentre colonne di mezzi corazzati e stormi di elicotteri da combattimento venivano avvistati in tutta la penisola. Entro sera divenne chiaro che cosa stava succedendo: era in corso la prima invasione di una nazione del continente dai tempi della guerra in Jugoslavia.
Nel tardo pomeriggio, un comunicato avvertì che il Consiglio dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, l’organo più importante della diplomazia europea, si sarebbe riunito soltanto lunedì 3 marzo, tre giorni dopo. Quella sera, le notizie dall’Ucraina aprirono i telegiornali di tutta Europa e decine di opinionisti attaccarono duramente quella che additavano come una reazione tardiva e ironizzando sui ministri degli Esteri europei che preferivano avere il fine settimana libero piuttosto che affrontare la crisi. Per quanto gran parte di quelle critiche fossero ingiuste, fu comunque uno dei momenti più bassi per l’immagine della diplomazia europea negli ultimi anni.
Lunedì 17 novembre, a Bruxelles, si è tenuto il primo Consiglio degli affari esteri da quando Federica Mogherini è diventata Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e in molti ritengono che con Mogherini ci possa essere un cambiamento storico per la diplomazia europea, uno dei settori in cui l’azione dell’Unione è ritenuta meno efficiente. Le politiche economiche dell’Unione, infatti, sono spesso accusate di essere al servizio dei paesi del nord Europa e della Germania in particolare, mentre quelle diplomatiche sono descritte semplicemente come stupide, sciocche o irrilevanti. Si tratta di critiche che a volte hanno un fondamento nella realtà.
Cosa non funziona nella politica estera dell’Unione?
Uno dei più grandi problemi della diplomazia europea è il fatto che è stata creata da poco: gli attuali poteri dell’Alto Rappresentante sono stati introdotti soltanto con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009. Per fare un esempio, l’Europa ha avuto una moneta unica sette anni prima di mettere in piedi un embrione di diplomazia coordinata. «Il processo di integrazione europeo è nato storto», ha spiegato il professor Gianni Bonvicini, vice-direttore dell’Istituto Affari Internazionali: «È cominciato con l’economia e non dal classico campo comune che nella storia ha portato alla nascita delle federazioni: la difesa e la politica estera. Oggi i governi dicono: “Abbiamo già ceduto abbastanza all’Europa sul fronte dell’economia, non cederemo altra autonomia anche in politica estera”».
L’organo che decide la politica estera dell’Unione Europea si chiama Consiglio per gli Affari Esteri (è una delle varie configurazioni in cui si riunisce il Consiglio dell’Unione Europea, formato dai ministri di tutti gli stati membri dell’Unione). Il Consiglio è presieduto dall’Alto Rappresentante che ne decide l’agenda e ha il compito di metterne in atto le decisioni. A differenza degli altri Consigli (come quello dell’economia), dove si vota con un complicato sistema a maggioranza, in quello degli Affari Esteri si vota sostanzialmente all’unanimità. In altro parole: ogni singolo stato membro gode del diritto di veto. Paradossalmente, questo significa che in Europa è più facile multare uno stato per non aver rispettato le regole di bilancio europee che condannare un attacco terroristico a nome dell’Unione. All’inizio della crisi ucraina, l’allora Alto Rappresentante, Catherine Ashton, dovette attendere il Consiglio del 3 marzo per emettere un comunicato di condanna alla Russia da parte dell’Unione Europea. Sarebbe bastato il voto contrario di un solo paese europeo per bloccare anche questa semplice azione.
Quando però i 28 paesi membri riescono ad accordarsi, la diplomazia europea possiede armi piuttosto importanti. «Quando si tratta di usare strumenti economici, come le sanzioni, la politica estera europea comincia ad avere qualche peso superiore», spiega Bonvicini. Nel suo complesso, l’Unione Europea è l’economia più grande del pianeta (più di Stati Uniti e Cina) ed è una destinazione privilegiata per i capitali e gli investimenti di tutti i paesi del mondo. È anche il paese che spende di più in aiuti allo sviluppo (55 miliardi nel 2012) e questi investimenti sono spesso usati come arma politica, utilizzando il principio “more for more”. Quei paesi che compiono più riforme e si aprono maggiormente alla democrazia, ricevono più aiuti. Ad esempio, gli aiuti europei sono stati recentemente tagliati ad Algeria ed Egitto, due paesi che non si sono aperti alle riforme o che sono addirittura tornati indietro. Sono stati aumentati invece quelli a Marocco e Giordania, dove lentamente i governanti stanno cercando di aprire maggiormente i loro regimi.
Recentemente le sanzioni europee e internazionali hanno colpito gravemente l’economia russa, mentre l’Iran è stato costretto a trattare sul proprio programma nucleare grazie all’embargo economico. Le misure economiche, però, a volte non bastano. Il punto chiave della diplomazia, spiega Bonvicini, è la sua credibilità, che significa anche possedere una capacità di deterrenza militare. Il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt diceva: «Parla gentilmente, ma gira con un grosso bastone». La diplomazia europea, però, in mano non ha nemmeno uno stuzzicadenti. La politica di difesa comune europea è sostanzialmente inesistente (se si escludono alcune piccole missioni che impegnano in tutto poche migliaia di militari) e non c’è nemmeno un embrione di esercito europeo.
Gli interventi in Libia nel 2011 e, in queste settimane, in Iraq (a cui partecipano Regno Unito, Francia, Olanda e Belgio) sono state iniziative dei singoli stati membri e persino la consegna delle armi ai miliziani curdi non è stata coordinata dall’Alto Rappresentante. È difficile persuadere dittatori e governi autoritari delle proprie ragioni se non è possibile nemmeno evocare remotamente la possibilità di un intervento armato. La ragione di questa situazione è complicata e influenzata da numerosi fattori, ma sostanzialmente risale alla decennale ostilità verso un esercito comune da parte degli stati con le forze armate più grandi e attive (soprattutto la Francia).
Il quadro non migliora se si guarda alle risorse a disposizione della diplomazia europea. L’Alto Rappresentante ha a sua disposizione un corpo diplomatico chiamato EEAS. Si tratta dell’agenzia che cura le relazioni diplomatiche che l’Unione Europea intrattiene con 139 paesi nel mondo. L’EEAS può contare su un bilancio di circa 500 milioni di euro l’anno e 3.300 dipendenti. Il solo ministero degli Esteri italiano ha a sua disposizione circa 8.000 dipendenti e quasi due miliardi di euro di bilancio. Il personale dell’EEAS inoltre è suddiviso in quote: due terzi dei suoi membri sono funzionari che provengono dalla Commissione o dal Consiglio, mentre un terzo sono diplomatici dei paesi membri in servizio pro-tempore presso l’EEAS. Esistono contrasti tra queste due componenti, dovuti alla diversa formazione (amministrativa e manageriale per quelli provenienti dalle istituzioni europee, più prettamente diplomatica per quelli provenienti dai paesi membri). In molti ritengono che un passo importante per migliorare la diplomazia europea sia creare un corpo diplomatico europeo, selezionato con corsi ed esami appositi e abbandonando il sistema delle quote.
Catherine Ashton
In queste ultime settimane a Bruxelles c’è un certo fermento per l’arrivo di Federica Mogherini, il nuovo Alto Rappresentante e in molti ritengono che si stia aprendo la possibilità per l’inizio una nuova stagione. In parte, questa opinione è dovuta al fatto che in molti considerano il mandato di Ashton, l’ex Alto Rappresentante, un insuccesso. Già ai tempi della sua nomina, nel 2009, in molti criticarono la sua impreparazione sui temi internazionali. Ashton, un Pari di Inghilterra e membro della Camera dei Lord, non aveva alcuna esperienza di politica internazionale quando venne scelta come Alto Rappresentante. Alcuni giornali inglesi definirono la sua «la più ridicola nomina nella storia dell’Unione Europea».
Nei suoi cinque anni, Ashton in realtà ha ottenuto diversi successi, tra cui i negoziati con l’Iran e, soprattutto, il trattato di pace tra Serbia e Kosovo, considerato spesso il punto più alto della sua carriera. In molti, però, la hanno accusata di aver trascurato numerosi altri fronti di crisi e di aver gestito in maniera caotica alcune situazioni, come quella ucraina. In diversi momenti della crisi, nella capitale Kiev ci fu un vero e proprio affollamento di commissari europei, ministri di Stati Membri e altre personalità importanti. Queste figure si alternavano nell’incontrare il governo ucraino e nel promettere l’appoggio dell’Europa, creando parecchia confusione su chi fosse davvero in carica per seguire la faccenda.
La ragione principale di questa gestione caotica risiede probabilmente nella stessa natura della diplomazia europea a cui, come abbiamo visto, gli stati membri sono riusciti a imporre parecchi paletti. Secondo alcuni critici, però, lo stile “accentratore” e “solitario” di Ashton avrebbe peggiorato le cose. Ashton ha spesso cercato di gestire personalmente gran parte dei dossier, delegando poco e, secondo i critici, senza riuscire a padroneggiarli tutti. Secondo numerose indiscrezioni, inoltre, Ashton non ha mai avuto buoni rapporti con il resto della Commissione. Una delle sue prime decisioni fu di trasferire il suo ufficio dal Barlyamont, l’edificio della Commissione, alla sede dell’EEAS, che si trova a poche decine di metri di distanza. Anche per questo motivo, Ashton non ha partecipato a molte riunioni della Commissione, secondo alcuni portando a un distacco tra la diplomazia europea e la Commissione, l’organo che poi dovrebbe mettere in atto i vari meccanismi diplomatici.
Federica Mogherini
In molti credono che Mogherini porterà a un cambiamento di questa situazione e il nuovo Alto Rappresentante ha già compiuto diversi gesti simbolici che sembrano andare in questo senso. Al momento del suo insediamento, Mogherini ha deciso di trasferire nuovamente il suo ufficio nell’edificio della Commissione, al settimo piano, nella stessa area dove hanno sede gli uffici dei commissari che dipendono da lei (l’Alto Rappresentante è anche vicepresidente della Commissione e “gerarchicamente” superiore ad alcuni commissari). Mogherini, dicono in molti, ha intenzione di esercitare un mandato più “politico”, cioè a contatto maggiore con la Commissione e il Parlamento. Ad esempio, una delle voci che girano a Bruxelles in questi giorni, è che già oggi gli altri Commissari si accordino con Mogherini per decidere i loro viaggi all’estero, una cosa che con Ashton non avveniva e che in Ucraina portò a diversi momenti di confusione. Mogherini, nelle sue prime settimane di lavoro, ha già compiuto diversi viaggi e missioni in Palestina, Giordania e nell’est Europa. Oltre all’Ucraina, l’Alto Rappresentante avrebbe deciso di occuparsi in particolare della situazione in Libia, una crisi molto vicina ai confini dell’Europa e fino a ora sostanzialmente trascurata dalla diplomazia europea (di fatto però, dal Consiglio di ieri è uscito solo un breve comunicato a proposito della crisi libica).
Il cambiamento della diplomazia europea potrebbe essere favorito da una serie di fattori interni ed esterni. Tra questi ultimi ci sono le numerose sfide che l’Unione si trova costretta a gestire negli ultimi mesi. «L’arco delle attuali crisi è tutto intorno ai confini d’Europa», spiega Bonvicini: «Dall’Ucraina alla Libia passando per la Siria e L’Iraq». Ma esistono anche ragioni interne all’Europa che spingono a investire di più sulla diplomazia comunitaria. Ad esempio, in questo periodo di tagli ai bilanci pubblici, sarebbe possibile risparmiare centinaia di milioni di euro chiudendo le sedi diplomatiche più piccole dei paesi membri e lasciando al loro posto le rappresentanze dell’Unione Europea. Una politica di difesa comune permetterebbe di migliorare l’efficienza delle forze armate europee e nel contempo risparmiare sui duplicati delle strutture di comando e intelligence di cui al momento è dotato ogni singolo esercito europeo. Gli ostacoli da superare però sono altrettanto numerosi. Aumentare il budget dell’EEAS è una prospettiva difficile da contemplare, così come la possibilità che stati membri come Francia o Regno Unito accettino di rinunciare alle loro prerogative in politica estera. Secondo molti il futuro della diplomazia europea anticiperà quello dell’intera Unione, visto che nessuna federazione è mai sopravvissuta a lungo nel corso della storia senza un esercito e una politica estera comuni.