Il Giappone è in recessione
Il PIL è sceso per il secondo trimestre consecutivo: il primo ministro Shinzo Abe potrebbe decidere di sciogliere la camera bassa e indire nuove elezioni
Il governo giapponese ha pubblicato le stime preliminari di crescita del PIL nel terzo trimestre del 2014: tra luglio e settembre, l’economia del paese è calata dell’1,6 per cento annuo e dello 0,4 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, confermando che il paese è in recessione tecnica. Si tratta infatti del secondo trimestre consecutivo in cui i dati economici sono di segno negativo: tra maggio e giugno l’economia si era ridotta a un tasso annualizzato del 6,8 per cento, il più grave dai tempi dello tsunami del 2011 e anche il primo calo da quando era entrato in carica l’attuale primo ministro, Shinzo Abe, che aveva promesso di migliorare la situazione economica del paese con una serie di politiche molto incisive.
Come scrive il New York Times citando persone a lui vicine, Shinzo Abe starebbe valutando la possibilità di sciogliere la camera bassa e indire nuove elezioni – nonostante non abbia tecnicamente bisogno di farlo per modificare il piano fiscale, perché il suo partito controlla entrambe le camere. Diversi analisti politici dicono però che Abe potrebbe voler cercare un mandato più ampio per prendere nuove decisioni più incisive su questioni controverse e delicate come quelle economiche e fiscali. L’annuncio, secondo i media locali, potrebbe essere fatto già domani e le elezioni potrebbero essere fissate a metà dicembre.
Abe, leader del partito Liberal Democratico di centrodestra, è stato eletto nel dicembre del 2012 e si è impegnato con la Banca del Giappone a risanare l’economia con un progetto ambizioso e discusso che i media hanno soprannominato “Abenomics”. Il programma aveva l’obiettivo di rilanciare la spesa e la concessione di credito in un’economia che soffriva da vent’anni di bassissima crescita e inflazione, aumentando la spesa pubblica e raddoppiando la quantità di moneta in circolazione. L’impatto di questo programma, secondo gli economisti, è stato però offuscato dall’aumento delle tasse previsto da un piano fiscale che aveva lo scopo di frenare l’immenso debito pubblico del Giappone. Il ministro delle Politiche economiche e fiscali Akira Amari, dal G20 di Brisbane in Australia, ha ammesso che l’impatto dell’aumento dell’imposta sui consumi, portata dal 5 per cento all’8 per cento lo scorso aprile, «è stato più grande delle attese» e ora la decisione sulla conferma o sul rinvio di un ulteriore rialzo al 10 per cento (previsto per l’ottobre del 2015) «sarà comunicata domani o nei giorni successivi».
Gli ultimi dati dicono che i consumi privati si sono ripresi ma meno del previsto e che sono diminuiti gli investimenti privati e quelli delle imprese. Sono aumentati invece i prezzi al consumo, gli utili societari e il valore dei beni come azioni e immobili. Ma finora parte di questa nuova ricchezza sembra non aver raggiunto i lavoratori medi e la cosiddetta “economia reale”. I salari non hanno tenuto il passo con l’arrivo dell’inflazione e con l’aumento del costo della vita, rendendo in pratica la gente più povera.
Il crollo degli ultimi trimestri è speculare al grande aumento dei primi tre mesi dell’anno, quando il PIL è aumentato ad un tasso annualizzato del 6,8 per cento. La causa di questa oscillazione così notevole viene considerata proprio l’aumento dell’imposta sui consumi. Prima che entrasse in vigore l’aumento, le famiglie e le imprese hanno fatto una vera e propria “corsa agli acquisti” cercando di anticipare l’aumento dell’imposta. Questa corsa ha “drogato” il PIL dei trimestri successivi: una volta comprato tutto quello che serviva prima dell’aumento, nel secondo e nel terzo trimestre i consumi sono precipitati, causando la contrazione.