Lasciate votare i catalani
Lo dice l'Economist, che spiega perché sarebbe giusto concedere alla Catalogna un referendum ufficiale e riconosciuto sull'indipendenza
Il 9 novembre scorso in Catalogna, una comunità autonoma della Spagna, si è tenuto un referendum simbolico sull’indipendenza dal governo centrale di Madrid. È stato simbolico perché non era riconosciuto dal governo guidato dal primo ministro conservatore Mariano Rajoy e perché era stato definito illegittimo dalla Corte Costituzionale spagnola. In pratica non ha avuto alcuna conseguenza legale, nonostante l’80 per cento dei votanti – pari al 36 per cento circa dei catalani con diritto di partecipare al referendum – avesse votato a favore dell’indipendenza.
La questione dell’indipendenza della Catalogna non si è esaurita però con il voto del 9 novembre: si tratta infatti di uno dei temi politici più importanti e dibattuti in Spagna, che ha acquisito grande visibilità sulla stampa mondiale soprattutto dopo il referendum per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito (ci sono comunque delle differenze notevoli tra i casi di Catalogna e Scozia: per esempio, la Catalogna è molto più ricca della Scozia, e contribuisce per quasi un quinto al PIL nazionale, oltre a trasferire una significativa somma di denaro al resto del paese). Un articolo del settimanale britannico Economist ha messo in ordine un po’ di idee sul referendum: il governo spagnolo deve concederlo o no? Cosa ci guadagna e ci perde? E sull’indipendenza: cosa vorrebbe dire per il futuro della Spagna? La tesi finale dell’articolo è che sì, il governo di Madrid dovrebbe lasciar votare i catalani e riconoscere il risultato della consultazione.
Perché il governo spagnolo dovrebbe concedere il referendum
Secondo l’Economist, è giusto essere cauti riguardo la possibilità di una divisione di uno stato nazionale, ma «quando una regione è un’entità riconoscibile culturalmente, etnicamente e linguisticamente, è perverso continuare a negare un voto». Per esempio, continua l’Economist, sarebbe stato sbagliato forzare la Slovacchia a rimanere parte della Cecoslovacchia, o il Kosovo della Serbia. Allo stesso modo sarebbe sbagliato costringere i fiamminghi a rimanere belgi, i quebecchesi canadesi, o gli scozzesi britannici, se una chiara maggioranza di queste comunità esprimesse una preferenza per l’indipendenza. Oggi in Catalogna non sembra esserci una chiara maggioranza a favore dell’indipendenza, ma c’è una larga parte della popolazione che rivendica il diritto di poter scegliere attraverso il voto. Impedire un referendum, scrive l’Economist, non fa altro che aiutare la causa separatista: in pratica è come scegliere una strategia politica sbagliata, che potrebbe portare al risultato opposto a quello sperato.
Il governo spagnolo dovrebbe mettere delle condizioni?
Sì, secondo l’Economist. Dovrebbe per esempio stabilire un’affluenza minima dell’80 per cento per ritenere valido il referendum, e magari anche un secondo turno da tenere tre anni dopo, che confermi l’eventuale risultato del primo voto. E poi dovrebbe impegnarsi a convincere i catalani a rimanere all’interno della Spagna, come ha fatto il governo britannico con la Scozia, anche se tardivamente (non solo il governo, per la verità: anche i più importanti media britannici erano schierati a favore del no).
Potrebbero essere riviste le tanto discusse decisioni della Corte Costituzionale spagnola dell’estate del 2010, che tolsero alcune prerogative alla Catalogna; oppure rivedere la divisione dei poteri tra governo centrale e comunità autonome decisa nel 1978 (la Spagna concede già molte autonomie alle proprie “regioni”: la proposta dell’Economist non riguarderebbe tanto il lato della spesa, quanto quelle delle policies vere e proprie).