Philae si sta scaricando
La batteria del lander sulla cometa si è quasi esaurita e i pannelli solari ricevono poca luce per produrre nuova energia: nella notte l'ESA proverà a farlo ruotare
di Emanuele Menietti – @emenietti
Le batterie del lander Philae, atterrato sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67P/C–G) a 510 milioni di chilometri dalla Terra, si stanno scaricando molto rapidamente e l’energia rimasta potrebbe non essere sufficiente per consentire l’invio dei risultati di alcuni esperimenti che ha condotto sulla superficie. Attraverso la sonda Rosetta, che sorvola la cometa e che ha trasportato Philae per 10 anni nello Spazio prima del suo rilascio il 12 novembre, il lander ha inviato ai centri di controllo dell’Agenzia Spaziale Europea circa l’80 per cento dei dati delle prime serie di esperimenti programmati dai ricercatori. I test della missione Rosetta servono per studiare le caratteristiche della cometa, la sua composizione e il suo comportamento in vista del suo avvicinamento al Sole.
Atterraggio complicato
Philae, un cubo di un metro di lato e con una massa di 100 chilogrammi, è atterrato dove aveva calcolato l’ESA, ma a causa di un malfunzionamento dei suoi arpioni e di un propulsore che avrebbe dovuto spingerlo verso il suolo, ha successivamente compiuto due rimbalzi, finendo in un punto diverso della cometa. Il punto finale di atterraggio si stima sia a circa un chilometro da quello prestabilito, ma fino a ora i ricercatori non sono riusciti a scoprire dove sia finito di preciso il lander.
Poca luce
Il complicato arrivo sulla cometa ha fatto sì che Philae non sia atterrato in piano, ma probabilmente in un punto scosceso dove non è riuscito ad ancorarsi con i suoi tre piedi. L’area in cui si trova riceve poca luce e di conseguenza i pannelli solari non sono in grado di ricaricare a sufficienza la batteria. L’autonomia del lander era stata calibrata su circa sei ore di illuminazione al giorno, ma una giornata nel punto non previsto di atterraggio dura poco meno di 90 minuti, un tempo insufficiente per permettere la ricarica delle batterie.
Francesco Topputo, tra i ricercatori del Politecnico di Milano che si occupano di alcuni sistemi e strumenti di Philae, ha confermato al Post che solo uno dei sei pannelli solari del lander riesce a produrre l’energia prevista, con un piccolo apporto anche da altri due pannelli, che però forniscono correnti più basse. I pannelli più grandi, quelli montati verticalmente su due lati (rispetto all’asse di Philae) non sono produttivi. La presenza di ostacoli e la posizione del lander complicano le cose, riducendo ulteriormente l’esposizione dei pannelli alla luce.
Esperimenti
I gruppi di ricerca dell’ESA nelle ultime ore si sono quindi dati molto da fare per eseguire più esperimenti con i 10 strumenti montati su Philae, prima che si esauriscano le 60 ore di autonomia della batteria primaria. Hanno iniziato dai test meno dispendiosi dal punto di vista energetico, proseguendo poi con quelli a consumo più alto. Sulla cometa è stato calato uno strumento per rilevazioni a raggi-X e un altro è stato conficcato nella superficie per misurare alcune proprietà termiche e meccaniche del suolo.
Trivellazione
Nella mattina di venerdì, i ricercatori hanno inviato a Philae i comandi per eseguire una serie di esperimenti con lo strumento SD2 (Drill, Sample and Distribution), messo a punto dal dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano. SD2 è composto da una trivella che ha il compito di prelevare campioni dal sottosuolo della cometa (fino a 23 centimetri) e di trasportarli all’interno del lander dove possono essere analizzati per comprendere la composizione. La trivellazione della cometa è proseguita nel pomeriggio di venerdì e si spera che la batteria abbia carica a sufficienza per inviare i risultati dell’esperimento nella notte, quando dovrebbe essere avviato un nuovo collegamento tra Philae, la sonda Rosetta e la Terra.
L’esperimento di SD2 è stato tenuto tra gli ultimi a causa della posizione del lander, alquanto precaria in assenza di ancoraggio. Il timore era che le vibrazioni dello strumento potessero rendere meno stabile Philae, compromettendo altri esperimenti. Per questo motivo si è preferito procedere con altri test prima della trivellazione.
Salto e rotazione
Giovedì e nelle prime ore di venerdì si era parlato della possibilità di provare a far compiere un balzo al lander nella speranza di fargli guadagnare un punto più illuminato, ma non funzionando né il sistema degli arpioni né quello del propulsore appare ormai improbabile. Una speranza per l’immediato è legata a SD2: la trivellazione potrebbe avere portato Philae a sollevarsi di qualche centimetro dal suolo, a sufficienza per ricevere più luce. Anche in questo caso una risposta dovrebbe arrivare nella notte tra venerdì e sabato con i dati inviati da Philae.
Se sarà possibile stabilire un nuovo collegamento, saranno inviati dalla Terra una serie di comandi per fare compiere comunque al lander una rotazione su se stesso: tra le “zampe” di Philae e il suo “corpo” c’è un perno che permette alla parte superiore di ruotare senza che si debba spostare la parte inferiore. La rotazione potrebbe permettere ai pannelli di essere posizionati in modo da avere più luce.
64 ore
È bene ricordare che il lander attualmente sta funzionando utilizzando quasi esclusivamente la sua batteria primaria, caricata prima che fosse avviata la sua missione in modo da essere sicuri che per almeno 64 ore Philae potesse funzionare anche in assenza della luce solare. Il proseguimento degli esperimenti nelle settimane seguenti grazie all’energia fornita dai pannelli solari avrebbe naturalmente costituito un prolungamento – prezioso – della missione, che resta comunque un successo per i risultati ottenuti.
Dov’è Philae
Nelle ultime ore altri gruppi di ricerca dell’ESA si sono dati da fare per capire dove sia atterrato di preciso Philae. Per farlo si possono basare sui dati forniti dal lander e soprattutto su alcune fotografie scattate dalla sonda Rosetta, che ha eseguito alcuni passaggi a bassa quota dalla cometa prima di allontanarsi in un’orbita più alta, a circa 50 chilometri di distanza dalla superficie. Nelle foto scattate a quella distanza da Rosetta, Philae apparirebbe grande quanto un pixel, quindi quasi impossibile da distinguere dal resto del suolo. I ricercatori stanno combinando insieme diverse immagini, scattate anche quando Rosetta era più vicina alla cometa, nelle quali Philae dovrebbe apparire grande quanto 3 x 3 pixel.
Oltre alla ricerca visiva, i ricercatori potrebbero ottenere qualche coordinata studiando i dati forniti dalla coppia di strumenti CONSERT, collocati uno sul lander Philae e l’altro sulla sonda Rosetta. I due strumenti si scambiano segnali radio quando la cometa si trova in mezzo a loro: a seconda di come ricevono i messaggi radio è possibile comprendere alcune delle caratteristiche interne della cometa. I due strumenti funzionano anche come una specie di radar, quando non hanno in mezzo la cometa. Analizzando segnali radio scambiati in diversi momenti, i ricercatori potrebbero farsi un’idea di dove è finito Philae.
In rosso il punto in cui sarebbe dovuto atterrare Philae, in blu l’area stimata
del suo ultimo atterraggio dopo i due rimbalzi.
E poi che succede?
Per Philae potrebbero essere le ultime ore di attività. Quando si sarà scaricata quasi del tutto la batteria primaria, il lander entrerà in una sorta di ibernazione, dalla quale si risveglierà solo se i suoi pannelli solari torneranno a ricevere quantità adeguate di luce. Anche se è una possibilità remota, all’ESA sperano che nei prossimi mesi le cose sulla superficie della cometa cambino, considerato che la sua orbita la sta portando ad avvicinarsi al Sole. Ci potrebbero essere in futuro più ore di luce e la possibilità di riattivare Philae. A causa della temperatura più alta, però, la superficie ghiacciata della cometa diventerà molto più instabile e sarà quindi meno sicuro restarci sopra, soprattutto in assenza di un ancoraggio.