Bidoni che non lo erano
Una lista di calciatori di Serie A in cui pochi riponevano grandi speranze, eppure si stanno facendo notare
Luca Misculin ha messo insieme sulla rivista online L’Ultimo Uomo una classifica dei “migliori bidoni” della Serie A: una definizione che è un ossimoro, dato che per “bidone” nel gergo sportivo solitamente si intendono quei giocatori che deludono enormemente le aspettative. I “migliori bidoni” sono quelli che sono stati bidoni, a un certo punto, o lo sono sembrati a qualcuno: e fin qui in Serie A stanno dimostrando di non esserlo affatto.
Sei bidoni che non lo erano
Cioè quei giocatori che producono espressioni come “ah però, X” o “mica male, alla fine, ‘sto Y”6. Mauricio Pinilla
Amo le storie di riscatto. Non quelle complete, perfette, “da favola”: non quella di Messi, insomma, che riconosco comunque potentissima. Piuttosto, preferisco le storie di riscatto a metà: quelle di giocatori che a sedici anni potevano diventare dei fenomeni, ma che poi si fermano a metà strada: e che quindi non vanno a giocare titolari nel Real Madrid, ma per esempio arrivano ad essere decisivi – o quantomeno a non sfigurare – in Serie A. Non so spiegare il perché: forse c’entra il fatto che queste carriere lasciano sempre aperto una specie di spiraglio, fino alla fine, e che a volte producono storie pazzesche come quella di Cassano – uno che insegue i Mondiali per tutta una vita e poi ci gioca solo per pochi minuti, in due partite disastrose, a quasi 32 anni (ma pensate cosa sarebbe successo se avesse segnato il gol del pareggio, contro l’Uruguay). Una delle mie storie preferite è quella di Pinilla: arrivato al Chievo nel 2002 dall’Inter, ricordo distintamente una specie di intervista alla Gazzetta dello Sport nella quale spiegava che il suo colpo preferito erano le rovesciate. Poi è finito in Scozia e a Cipro, fino a tornare in Italia in prova al Grosseto e quindi, a 12 anni di distanza, è atterrato sul campo dove si giocava quella partita lì, prendendo quel palo e facendosi parare quel rigore. Ancora: pensate se avesse segnato.
5. Stefano Okaka
Per questi e altri motivi, non può non piacermi la parabola di Stefano Okaka (se avesse segnato più di due gol in undici partite lo avrei messo tipo al secondo posto). In sette anni è passato dal giocare la Champions League, a 17 anni, a fare meno gol della maggior parte dei centravanti titolari, in Serie B. Poi, dopo essere rientrato a Parma dal prestito allo Spezia (lo. Spezia.), è andato alla Sampdoria in cambio di Nicola Pozzi all’ultima giornata del calciomercato invernale. Pozzi ancora non ha giocato una partita. Okaka, in nove mesi, ne ha giocate 25 segnando 7 gol: niente di eccezionale, chiaro, ma un sacco di buone prestazioni, giocate spalle alla porta – quelle che i telecronisti RAI chiamano “sportellate” – e movimenti giusti. A volte, in partita, non tira neppure in porta (è successo durante la vittoria in casa contro il Chievo). Eppure, vedendolo giocare, non gli si può non volere bene: cerca di tenere ogni pallone, fa salire la squadra in modo intelligente, sbaglia gol a meno di mezzo metro dalla porta (è successo contro il Genoa). Non sarò ottimista come Mihajlović (che in più interviste ha detto cose come «se continua così per me [è] uno dei più forti centravanti italiani»), ma Okaka concedetemelo, dai (ha pure una sorella ex grande promessa della pallavolo: altra grande storia).
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