Assolti i boss accusati di minacce a Saviano
I boss dei casalesi Iovine e Bidognetti sono stati giudicati innocenti, il loro avvocato è stato condannato a un anno
Aggiornamento 17.20 – Il tribunale di Napoli ha giudicato Antonio Iovine e Francesco Bidognetti, boss dei Casalesi, non colpevoli di minacce «aggravate dalla finalità mafiosa» contro lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione, oggi senatrice del PD. Per le minacce è stato condannato l’avvocato Michele Santonastaso, con pena sospesa.
Vittoria a metà. Riconosciute minacce camorriste fatte da Santonastaso. Assolti i boss, guappi di cartone, nascosti dietro il loro avvocato.
— Roberto Saviano (@robertosaviano) 10 Novembre 2014
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Oggi pomeriggio dovrebbe essere annunciata dai giudici di Napoli la sentenza di primo grado del processo nel quale sono imputati i boss dei Casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti per le minacce «aggravate dalla finalità mafiosa» – fatte tramite i loro legali durante l’appello di un altro processo, il cosiddetto “Spartacus” del 2008 – allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione (oggi senatrice del PD). Il processo è durato 23 mesi e Saviano è oggi presente in aula per la lettura della sentenza.
“Spartacus”
“Spartacus” è il nome di uno dei più importanti processi sulla criminalità organizzata degli ultimi anni, condotto principalmente a carico di membri del clan camorristico dei Casalesi: è stato il risultato di una enorme indagine condotta dal 1993 al 1998 dalla Procura Antimafia di Napoli e si è concluso nel 2010, quando fu emessa la sentenza di terzo grado di giudizio. Gli imputati erano 31: tra loro Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone (soprannominato “Sandokan”).
Durante l’udienza del 13 marzo 2008 del processo d’appello, l’avvocato Santonastaso – che nel frattempo è finito in carcere con l’accusa di collusioni con la camorra – lesse un documento firmato dai due boss che faceva riferimento alla possibilità di appellarsi alla parte della cosiddetta legge Cirami del 2002 riguardante la “legittima suspicione”, ossia un legittimo sospetto che consentisse il trasferimento del processo a un altro giudice. Il documento conteneva alcune frasi riferite a Saviano e a Capacchione, cronista del quotidiano Il Mattino. La lettera, di trenta pagine, conteneva degli “inviti” anche per i magistrati Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho, inquirenti del processo Spartacus e accusati dai due boss di essere «magistrati in cerca di pubblicità».
Si dichiarava poi che Saviano, autore del libro Gomorra, con la sua opera aveva «tentato di condizionare l’attività dei giudici» e che le inchieste giornalistiche di Rosaria Capacchione avevano favorito la Procura di Napoli. «Il nostro» c’era scritto tra l’altro nella lettera «è solo un invito rivolto al signor Saviano e ad altri come lui a fare bene il proprio lavoro e a non essere la penna di chi è mosso da fini ben diversi da quello di eliminare la criminalità organizzata». Della legittima suspsicione non si fece poi niente (fu cioè respinta), ma da quelle dichiarazioni ebbero origine indagini e altri due processi.
Il processo per le minacce
Per le presunte minacce contro i magistrati il procedimento fu trasmesso alla Procura di Roma. Sempre a Napoli, invece, i boss Francesco Bidognetti e Antonio Iovine e gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello (si scoprì dalle indagini che quest’ultimo aveva seguito l’udienza in videoconferenza insieme al boss latitante) furono accusati di minacce aggravate da «finalità mafiosa» contro Saviano e la giornalista Capacchione. Per queste accuse, nel maggio del 2014 il pubblico ministero Antonello Ardituro, chiese il massimo della pena – un anno e sei mesi di carcere – per Bidognetti e per i due legali, mentre chiese l’assoluzione per «insufficienza di prove» per Iovine, arrestato nel 2010 dopo 14 anni di latitanza e diventato nel frattempo un collaboratore di giustizia. Durante i quasi due anni di processo sono stati sentiti diversi testimoni tra cui lo stesso Saviano.
Roberto Saviano
Arrivato a Napoli per la lettura della sentenza su Facebook Saviano ha scritto: «Ed eccomi qui, nella stanzulella dove ogni volta aspetto che inizino le udienze. Tra queste quattro mura ormai mi sento a casa. Ogni tanto entra un giornalista. Più raramente un amico venuto a darmi coraggio». Lo scrittore ha raccontato il processo dicendo che si tratta di un procedimento «unico, a suo modo senza precedenti perché, per la prima volta vengono accusati i vertici di un’organizzazione criminale per aver aggredito la libertà di stampa». Si tratta «di boss accusati dall’antimafia non come mandanti ma come diretti esecutori. Non solo: accusati con i loro avvocati di aver minacciato attraverso uno strumento processuale».
Intervistato dal Post a Monaco nello scorso luglio, lo scrittore aveva dichiarato che un’eventuale condanna di Iovine per le minacce nei suoi confronti sarebbe stata per lui «la luce in fondo al tunnel», l’inizio cioè di una vita più normale rispetto a quella fatta fino ad ora.