I lavoratori nordcoreani in Qatar
Sono inviati dal regime e sono sostanzialmente schiavi, scrive il Guardian: anche il loro stipendio viene sequestrato dal governo, che ha un gran bisogno di valuta estera
La settimana scorsa il quotidiano britannico Guardian ha pubblicato un’inchiesta in cui racconta la condizione dei lavoratori nordcoreani in Qatar. Attualmente, secondo le autorità del Qatar, circa 2.800 lavoratori edili provenienti dalla Corea del Nord si trovano nel paese per lavorare alla costruzione di edifici e infrastrutture (non risulta, al momento, che siano impiegati nella costruzione degli stadi e delle infrastrutture per i Mondiali di calcio del 2022). Il Guardian ha scoperto che quasi nessuno di questi lavoratori percepisce uno stipendio. Il loro salario viene pagato direttamente su conti bancari di proprietà del governo nordcoreano. Ai lavoratori rimane il 10 per cento circa, che ricevono solo quando ritornano a casa: il resto viene incassato dal regime del dittatore Kim Jong-un. Il Guardian ha realizzato la sua inchiesta intervistando numerosi fuoriusciti dalla Corea del Nord, alcuni funzionari del governo del paese e diversi lavoratori nordcoreani che al momento si trovano in Qatar.
Il meccanismo con cui funziona questo sistema è più o meno questo: i lavoratori vengono reclutati da alcune società statali nordcoreane. Gli viene garantito che potranno incassare il loro stipendio al ritorno a casa e quindi vengono spediti a lavorare in varie parti del mondo (soprattutto Cina, Russia, Mongolia e Medio Oriente). Secondo alcuni fuoriusciti nordcoreani, ci sono circa 65 mila nordcoreani che lavorano all’estero. Una volta terminato il loro periodo di lavoro, che dura in genere tre anni, questi operai ritornano in Corea del Nord ma ricevono raramente più del 10 per cento di quello che hanno guadagnato.
Secondo diversi centri studi e fuoriusciti (tra cui alcuni disertori dell’esercito), circa il 70 per cento del loro stipendio viene incassato direttamente dal governo nordcoreano, il 20% viene utilizzato per pagare le spese di vitto e alloggio che i lavoratori hanno sostenuto all’estero e il rimanente 10% è la retribuzione. Questo fenomeno, che il dipartimento di Stato americano e diverse ong hanno definito un vero e proprio commercio di “schiavi”, è una delle principali fonti di valuta estera in mano al governo nordcoreano. Il paese infatti è oggetto di numerose sanzioni internazionali per via del suo programma nucleare e delle continue gravi violazioni dei diritti umani che avvengono entro i suoi confini: per questo ha grosse difficoltà a procurarsi la valuta estera essenziale per tutta una serie di attività economiche. Senza moneta estera, per esempio, sarebbe impossibile per l’élite che governa il paese procurarsi beni di lusso o viaggiare all’estero. Ma in sostanza quasi tutto ciò di cui il paese ha bisogno e che non può essere prodotto in Corea del Nord deve essere comprato all’estero e pagato con una valuta straniera. Per garantire questo flusso di denaro pregiato, i lavoratori che si trovano all’estero subiscono minacce e violenze, sono costretti a compiere lunghissimi straordinari e non godono delle più elementari misure di sicurezza.
Il Guardian si era già occupato della condizione dei lavoratori in Qatar. Con una serie di articoli, pubblicati a partire dal settembre 2013, aveva denunciato le condizioni semi-schiavistiche e l’elevato tasso di mortalità tra i lavoratori immigrati in Qatar per costruire edifici e stadi per i Mondiali del 2022. In particolare il Guardian si era occupato dei lavoratori nepalesi che venivano portati in Qatar con la prospettiva di buoni salari e che una volta arrivati si vedevano ritirati i documenti e costretti a lavorare in condizioni di semi-schiavitù. L’inchiesta del Guardian spinse il governo del Qatar a promettere l’adozione di riforme per migliorare la condizione dei lavoratori immigrati nel paese.