I problemi di Interstellar
Riguardano sia la trama che la plausibilità scientifica, dice uno scienziato su Slate: attenzione, ci sono un sacco di spoiler, chi non vuole saperne niente stia alla larga
di Phil Plait - Slate
Di solito mi piace scrivere recensioni di film. È un modo divertente per raccogliere i miei pensieri attorno a un certo film, analizzarne la trama, la produzione, la sceneggiatura, persino la sua plausibilità scientifica.
Per questo motivo ho avuto qualche ritrosia a scrivere di Interstellar. Non vedevo davvero l’ora di vederlo: ma poi, dopo averlo visto, ho pensato che fosse orribile. Un disastro totale. Se state cercando una lunga recensione di Interstellar, eccola. Non mi è piaciuto per nulla, ma proprio per nulla. E ci speravo davvero, che mi piacesse.
La cosa che più mi spiace è che il film poteva davvero essere forte. La trama, tutto sommato, non è malvagia (sebbene riciclata da un vecchio soggetto di fantascienza), e alcune idee dentro al film funzionano. Gli effetti speciali sono pazzeschi. Fantastici. Ma non possono bilanciare un film con dialoghi sciatti, un andamento ovvio, un messaggio maldestro e un serioso ma poco accorto tentativo di risultare profondo. E molti dei dettagli decisivi presenti nella trama sono un miscuglio di idee che non hanno senso.
E poi, la parte scientifica. Santo cielo. La parte scientifica.
Attenzione. Da qui in poi ci saranno molti spoiler, sappiatelo.
La trama è piuttosto difficile da sintetizzare, ma ecco i punti chiave: in un momento non precisato del futuro, tipo fra cinquant’anni da oggi, il mondo si trova in una grave crisi ambientale. I raccolti vanno male, il cibo scarseggia, miliardi di persone sono morte. Matthew McConaughey interpreta il ruolo di Cooper, un ex pilota e ingegnere che sta avendo difficoltà a far crescere il mais nella sua fattoria dove vive insieme al suo figlio, alla sua figlia Murph e al suocero. La figlia si lamenta del fatto che nella sua stanza c’è un fantasma che sta provando a contattarla. Inizialmente scettico, Cooper scopre che i messaggi sono veri, che sono criptati utilizzando in qualche modo la forza di gravità e che contengono le coordinate di un luogo lì vicino.
Cooper e Murph scoprono che a quelle coordinate si trova una base segreta della NASA. A Cooper viene detto che cinquant’anni prima era stata scoperta una “anomalia gravitazionale” vicino Saturno: un condotto spazio-temporale, probabilmente piazzato lì dagli alieni, forse gli stessi che hanno contattato Murph. Una dozzina di pianeti abitabili sono stati tracciati al di là del tunnel, e un gruppo di umani viene mandato lì per esplorarli. Il sistema ha tre potenziali pianeti adatti alla vita, e ora sta a Cooper pilotare un’astronave attraverso il tunnel, capire qual è il pianeta migliore e salvare gli umani dando loro una nuova casa.
A questo punto il film sbraca, sia dal punto di vista della trama sia da quello scientifico. Per esempio: nonostante anni prima i fondi della NASA siano stati tagliati, l’agenzia ha comunque la capacità di lanciare dozzine di astronavi dal costo di centinaia di miliardi di dollari ciascuna (e lo fa, inspiegabilmente – abituatevi a questa parola – da un silo posizionato sottoterra, proprio accanto ai suoi uffici). Non è chiaro perché l’astronave debba contenere degli umani e non dei robot, e l’idea che da lì possano essere inviati solo dei dati a corto raggio – pretesto per mandare Cooper e gli altri a dare un’occhiata – mi è sembrato un banale mezzuccio per far funzionare la trama.
Cooper pilota con successo l’astronave attraverso il tunnel spazio-temporale: è una scena ben fatta, anche per quanto riguarda la spiegazione di come funziona un tunnel spazio-temporale, presa in prestito dal romanzo “Nelle pieghe del tempo” di Madeleine L’Engle. E dall’altra parte Cooper e la sua squadra scoprono che il sistema coi tre pianeti orbita attorno a un buco nero. Durante queste scene ho sospirato sonoramente. Da dove prendono luce e calore questi pianeti? C’è bisogno di una stella per ottenere queste due cose. Il calore non può provenire dal buco nero, perché fra l’altro Cooper dovrà – inevitabilmente – entrare dentro al buco nero. E quando lo farà, non finirà arrosto. Quindi i pianeti sono abitabili, anche se in zona non è presente alcuna fonte di calore.
Potrei andare avanti a lungo (molto a lungo) a elencare gli errori scientifici che il film presenta da qui in avanti. Ma sceglierò un esempio soltanto, dato che riguarda una parte fondamentale della trama ma mostra esattamente quanta scienza sia stata buttata dalla finestra nel realizzarla.
Si scopre che uno dei tre pianeti ha un’orbita molto vicina al buco nero: così vicina che ci sono parecchi effetti sulla relatività. Nei pressi di un buco nero il tempo rallenta (vero): di conseguenza, un’ora su un pianeta equivale a sette anni sulla Terra. C’è però un problema: per avere quel tipo di dilatazione temporale (cioè di un fattore 60.000, in gergo), bisogna stare sulla superficie del buco nero. Ma per come si comportano i buchi neri, per essere stabile l’orbita dei pianeti dev’essere grande almeno tre volte la massa dello stesso buco nero. Gli orologi a quella distanza vanno più lenti rispetto a uno sulla Terra: ma circa del 20 per cento. In altre parole, affinché il pianeta abbia una dilatazione temporale come quella rappresentata nel film, dovrebbe essere troppo vicino al buco nero per avere un’orbita stabile: ci cadrebbe dentro [Phil Plait, in un secondo articolo su Slate, si è scusato dicendo di non aver calcolato che il buco nero potrebbe ruotare su se stesso: in quel caso, potrebbe produrre la dilatazione temporale citata nel film, ndr].
C’è poi un problema di effetti di marea. Un lato del pianeta è molto più vicino al buco nero rispetto all’altro. La gravità cambia con la distanza; più lontano vai dalla fonte di energia, meno avrà effetto la gravità. La differenza fra la forza gravitazione esercitata da un buco nero fra i due lati dello stesso pianeta è molto, molto forte: il pianeta, la cui forma sarebbe distorta dalla forza di marea, sarebbe allungato. Per un pianeta così vicino, la forza di marea sarebbe enorme, e quindi finirebbe a pezzettini, vaporizzato. [Plait, nel secondo articolo, ha corretto il tiro anche su questo fatto: ha spiegato che nonostante in teoria abbia ragione riguardo alla forza di marea, il suo ragionamento è comunque stato inficiato dal fatto che ha considerato che il buco nero non ruotasse su se stesso, ndr].
Nel caso in cui il pianeta non cada nel buco nero, quindi, finirebbe comunque per essere vaporizzato. In entrambi i casi non esisterebbe nessun pianeta. In tutto questo, se anche il pianeta non fosse stato vaporizzato, la sua rotazione sarebbe bloccata: dovrebbe mostrare sempre lo stesso lato al buco nero, di conseguenza la forza di marea dovrebbe agire prevalentemente in una sola direzione, senza muovere dei corpi sulla superficie del pianeta stesso. Non dovrebbero esserci onde.
La stessa esistenza del pianeta è solo un esempio degli strafalcioni scientifici del film. Ce ne sono molti altri. Fatemene citare uno: il buco nero. Per ragioni di trama, Cooper deve andarci dentro. Attorno al buco nero vediamo ruotare una massa di materiale, probabilmente il disco di accrescimento: un disco piatto e rotante che sta per finire dentro al buco nero. A causa delle enormi forze che agiscono, i dischi di accrescimento sono estremamente caldi e hanno una temperatura di milioni di gradi. Sono inoltre così brillanti che possono essere visti a milioni di anni luce di distanza ed emettono una sufficiente quantità di radiazioni da distruggere qualsiasi materiale ordinario.
Eppure Cooper ci vola vicino come se stesse viaggiando fra gli anelli di Saturno (letteralmente: è un richiamo a una scena precedente nella quale oltrepassa davvero gli anelli di Saturno). Nella realtà, la sua astronave sarebbe stata cotta a una temperatura di un fantastilione di gradi, e lui sarebbe diventato nulla più che un esile mucchio di particelle subatomiche. Inoltre, nel film non vediamo il disco di accrescimento muoversi e roteare: è statico, immobile, quando in realtà dovrebbe ruotare velocissimamente attorno al buco nero.
Potreste pensare che tutto questo sia frutto di pedanteria, e in un certo senso lo è. Potrei perdonare gli strafalcioni scientifici se della buona scienza si fosse scontrata con le esigenze della trama. Ma in questo caso la scienza è cruciale per la stessa trama: il film è tutto incentrato sui buchi neri. Uno dei produttori esecutivi del film è il fisico teorico Kip Thorne (uno dei robot di Interstellar si chiama KIPP, cosa che mi ha fatto sorridere), uno scienziato per cui nutro abbastanza rispetto. La notizia della partecipazione di Thorne al film è circolata abbastanza, perlopiù per il modo in cui sono rappresentati i buchi neri nel film – ed effettivamente sono visivamente meravigliosi.
È una cosa buona: il problema è che nel film non c’è niente sui buchi neri che non sia contenuto in un libro di testo o in una pagina di Wikipedia. L’idea della dilatazione temporale, della deformazione dello spazio, del tunnel spazio-temporale, e perfino dei viaggi nel tempo: sono tutte cose già note ed utilizzate nella fantascienza. Thorne è un fisico molto bravo e importante, e non è affatto mia intenzione screditarlo: ma non sono sicuro di cosa sarebbe cambiato se non fosse stato coinvolto nel film.
Il vero problema non ha a che fare con la scienza, ma con la storia. Sono certo che Thorne sapesse benissimo che cose del genere fossero scientificamente fallaci, ma posso supporre che il regista e sceneggiatore Christopher Nolan abbia deciso di ignorare questi problemi al fine di rendere più efficace la storia. Anche ignorando i problemi scientifici che il film pone, il modo in cui si sviluppa la storia è orrendo. I personaggi hanno molta poca profondità, per esempio, e i dialoghi sono spesso stucchevoli.
Durante una conversazione fra Cooper e Anne Hathaway sull’amore, lei dice che l’amore è un manufatto di proporzioni gigantesche (ma che vuol dire, fra l’altro?), e “trascende i limiti dello spazio e del tempo”, come se fosse una forza fisica – un’allusione alla forza di gravità, che al contrario del contenuto del film trascende davvero le dimensioni, il tempo e lo spazio. Il dialogo in questione suona come minimo innaturale, a peggiora quando Matt Damon parla dell’amore di un genitore verso i propri figli, spiegando: “la nostra evoluzione deve ancora trascendere questa semplice barriera”. Chi parla in questo modo? Il film è pervaso di tentativi di sembrare profondo, ma anche grazie a questi dialoghi faticosi suona semplicemente sciocco.
Anche la trama presenta qualche difficoltà: la situazione iniziale si è sviluppata lentamente e in modo prevedibile; era ovvio sin dall’inizio che i “fantasmi” di Murph avrebbero costretto Cooper a gettarsi nel buco nero e a viaggiare nel tempo, così come il fatto che gli alieni si sarebbero poi rivelati gli umani del futuro. Questo aspetto è piuttosto interessante, ma non nuovo: Kurt Vonnegut ne ha parlato estesamente nel libro “Le sirene di Titano”, per esempio. Ci sono poi riferimenti a 2001: Odissea nello Spazio e a 2010, e a un sacco di altri film. E a volte sono più di semplici riferimenti.
In una delle scene iniziali, prima che Cooper lasci la figlia per il suo viaggio spaziale le lascia in dono un orologio da polso, che più avanti nel corso del film si rivelerà decisivo per le sorti dell’umanità. Ho quasi urlato durante quella scena. Nel film Contact, il personaggio di Matthew McConaughey dà a Jodie Foster una bussola prima che lei vada in giro per lo spazio, e le dice che potrebbe salvarle la vita (cosa che effettivamente fa).
Ci sono molti altri problemi in questo film: personaggi messi da parte, grossi snodi della trama che si basano su coincidenze oppure su commenti a bassa voce di un dato personaggio che danno a un secondo personaggio una pazza-idea-che-potrebbe-funzionare, rivoli della storia che finiscono nel nulla. È un casino, ve l’ho detto.
Sono uno scienziato, amo la scienza, e apprezzo quando c’è qualcosa di scientifico di ben scritto all’interno di un film. Ma non è stata la scienza a rendere pessimo questo film. Mi sento di dire che il problema di Interstellar è che si tratta di un film che vuole disperatamente essere profondo, ma che banalmente non lo è. Se la sua presunta profondità non ci fosse stata sbandierata in faccia ad ogni occasione, avrebbe probabilmente funzionato meglio.
Ironicamente, un film incentrato sulla forza di gravità non dispone della gravitas che crede di avere.
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