L’uomo che fa i trailer
Mark Woellen non è famoso ma ha creato i migliori trailer cinematografici degli ultimi anni: ha spiegato al New York Magazine un po' di cose sul suo mestiere
Uno dei più apprezzati trailer cinematografici diffusi negli ultimi anni è quello del film The Social Network, diretto da David Fincher e incentrato sulla nascita di Facebook. Il trailer inizia con una schermata nera e una soffusa melodia suonata da un pianoforte: dopo alcuni secondi vengono mostrate sullo schermo alcune immagini personali di utenti Facebook, assieme ad alcuni status testuali molto comuni. In sottofondo c’è “Creep” dei Radiohead cantata da un coro di donne, il cui testo si abbina molto bene alle immagini. Solo al minuto 0:53 lo spettatore viene introdotto al protagonista Mark Zuckerberg, interpretato da Jesse Eisenberg, e ad alcune scene del film, che scorrono mentre in sottofondo passano brandelli di dialoghi necessari a capire la trama iniziale.
Questo trailer non è quello inizialmente pensato dalla Sony, la casa di produzione che ha realizzato The Social Network. A un certo punto, durante la produzione, avevano proposto a Fincher un trailer realizzato da alcuni addetti al marketing dell’azienda, che aveva come sottofondo “Sabotage” dei Beastie Boys ed era stato descritto dallo stesso Fincher come una cosa «dissoluta e allucinata alla Hunter S. Thompson [un giornalista noto per i suoi articoli su contesti disagiati]». Fincher si rivolse allora alla Mark Woollen & Associates, il cui fondatore Mark Woollen è oggetto di un lungo profilo pubblicato dal New York Magazine. Lo stesso Fincher, al New York Magazine, ha detto che Woollen nel trailer «è riuscito a trasmettere cosa significa davvero la “connettività”. Ne rimasi stregato».
Woollen ha 43 anni e il New York Magazine lo descrive come un «hipster introverso dai capelli in disordine» che a volte «sembra dover ricordare a se stesso di guardare negli occhi il proprio interlocutore». Woollen ha realizzato i trailer di alcuni dei film più noti degli ultimi anni, fra cui The Tree of Life, Dallas Buyers Club, Her, 12 anni schiavo. Ha cominciato a produrre trailer dopo aver abbandonato il college, alla Universal: a 22 anni realizzò un trailer per il celebre film Schindler’s List, la cui produzione la Universal – come da prassi – aveva assegnato a diversi produttori in competizione fra loro. Spielberg scelse una delle due versioni proposte da Woollen: a quel punto, dopo aver ottenuto una certa notorietà in seguito a Schindler’s List, Woollen ha deciso di mettersi in proprio. Tutti i trailer contenuti in questo articolo sono fatti da Woollen e dalla sua società.
Oggi Woollen è uno dei produttori di trailer più apprezzati del cinema americano: ha lavorato, fra gli altri, coi fratelli Coen, Terrence Malick e Spike Jonze. Lavora personalmente a una decina di film all’anno, quasi ossessivamente: nel suo studio tiene spesso le tapparelle abbassate e casa sua, ricorda Jonze, e «aveva una camera da letto in cui viveva e una serie di altre stanze in cui teneva materiale da montaggio». Woollen al New York Magazine ha anche raccontato di una volta in cui il regista e attore canadese Mike Myers lo ha guardato con curiosità mentre editava un trailer sulla propria tavola da pranzo. Quelli che fanno cinema sanno benissimo chi è e quanto è bravo, ma quelli che guardano i film – e i suoi trailer – non ne hanno idea: Woollen ha appena 600 followers su Twitter.
Nonostante la Mark Woollen & Associates metta mano a circa 75 trailer l’anno e sia composta da tre produttori e nove tecnici del montaggio, Woollen negli anni ha rifiutato diverse proposte di lavoro. Oggi è diventato un po’ più morbido. Lui stesso ha detto che «ci eravamo fatti una reputazione negativa per aver detto ‘no’ troppo spesso»: al New York Magazine ha raccontato per esempio di aver rifiutato di realizzare il trailer della trasposizione cinematografica di Mamma mia!, con Pierce Brosnan e Meryl Streep, perché ha ricordato di aver pensato: “non capisco affatto questo film”.
Il regista messicano Alejandro González Iñárritu (quello di 21 grammi, per capirci) ha spiegato che l’abilità di Woollen è «trovare il DNA di un film in due minuti: e una volta che lo trova, di trasmetterlo senza rivelare la sua storia ma mostrando la sua essenza emotiva, in un modo incomprensibile ma efficace». In una recente intervista a Wired, Woollen ha spiegato che il suo lavoro è «riflettere il lavoro dei registi e darne una rappresentazione. Essere nella posizione di entrare nella stessa dei personaggi delle storie e in quella delle persone che hanno contribuito a realizzare il film e fare parte per un po’ di tempo del loro mondo, beh, è divertente».
L’approccio di Woollen varia da film a film, e questo secondo il New York Magazine è uno dei motivi per cui il suo lavoro è maggiormente apprezzato, specialmente in un campo che ha un grado di standardizzazione piuttosto alto. Ancora negli anni Ottanta, non veniva data una grande importanza ai trailer: sebbene la loro qualità generale sia aumentata col tempo, molti (anche alcuni prodotti da Woollen) sono realizzati ancora oggi con una struttura piuttosto rigida. Spiega il New York Magazine:
Nella prima parte vengono introdotti personaggi e contesto; seguono poi le prime complicazioni presenti nella trama, e poi un terzo atto che fa intuire una possibile soluzione e poi, quasi per gioco, una scena finale spiritosa. Titoli di coda. La loro enfasi varia, ma generalmente rielaborano il film in una catena di frammenti particolarmente rivelatori, brandelli di canzoni pop, improvvisi colpi di scena e suoni predefiniti (tipo il BRAAAM! di Inception). Questa è la narrativa dei trailer.
Woollen, per i trailer su cui lavora, seleziona minuziosamente ogni scena da inserire nel filmato, ma punta molto sulla musica. A suo parere «certe volte il 70 o l’80 per cento del lavoro consiste nel trovare la giusta canzone da inserire. Fare i trailer consiste nel sapere gestire ritmo, cadenza ed emozione. I registi parlano spesso di quanto per loro una grossa parte la faccia il casting: per noi, vale la stessa cosa per la musica». Un’altra cosa importante, per Woollen è non «barare»: non promettere nel trailer che il film sia meglio – o peggio – di come sia in realtà. Lavorando alla pubblicità per la televisione di Birdman, il nuovo film di Iñárritu, Woollen si è lamentato per non riuscire a trovare la canzone giusta spiegando che scegliendone una non adatta si rischiava di «non rendere giustizia al materiale». Negli Stati Uniti, poi, i film vengono anche promossi con campagne pubblicitarie mirate a un target molto particolare, che siano casalinghe o uomini appassionati di football, e per questo motivo circolano diverse versioni dello stesso trailer: Woollen le definisce «stronzate dove tutto è bianco o nero», spiegando di essere «molto più interessato al trailer completo».
Data l’alta standardizzazione del prodotto tutti gli studi provano a fare cose originali, spiega Myles Bender, che ha collaborato con Woollen ad alcuni trailer: il fatto è che spesso «finiscono per realizzare lavori pessimi. Il vero artista è quello che riesce a spezzare le regole e al contempo creare una meraviglia». Secondo lui, è il caso del trailer di A Serious Man, creato da Woollen su richiesta dei fratelli Coen. Bender ha ricordato che Ethan Cohen, ai tempi, aveva suggerito «quasi per scherzo» che l’intero trailer fosse ricavato solo da «quella scena in cui lui sbatte ripetutamente la testa contro la lavagna». Woollen lo realizzò, nonostante la regola non scritta che nei trailer non possa ripetersi più volte la stessa scena – il rumore della testa del protagonista che sbatte contro la lavagna prosegue per tutto il filmato – e riuscì a tirarne fuori un altro trailer molto apprezzato.
Woollen, in tutta la sua carriera, ha diretto un solo film: Jam, uscito nel 2006, che parla di un gruppo di anziani pattinatori di roller derby, una specie di corsa coi pattini su pista. A una domanda del New York Magazine sui suoi prossimi progetti, ha detto:
«Sono stato fortunato a lavorare per molti anni con alcuni dei migliori registi viventi. Si sono fidati di me per raffigurare i loro film, il loro lavoro mi ha ispirato, ho mantenuto con loro dei buoni rapporti e ho imparato moltissimo. Ho passato molto del mio tempo a vivere nei film di altri, nel mondo che loro hanno creato, e potrebbe venire presto il momento in cui voglia crearne uno tutto mio».