I soldati americani e le armi chimiche in Iraq
Un'indagine del governo ha confermato la grossa inchiesta del New York Times sui molti casi di esposizione ad agenti chimici in Iraq durante la guerra
Un’indagine dell dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha rivelato che dal 2003 oltre 600 cittadini americani hanno riferito di essere stati esposti ad agenti chimici in Iraq. I risultati dell’indagine interna, ordinata dal segretario della Difesa Chuck Hagel, sono stati resi pubblici un mese dopo una grossa inchiesta del New York Times che parlava di circa 17 casi di soldati americani esposti al sarin o all’iprite, sostanza conosciuta anche come gas mostarda a causa del suo odore. In realtà i casi furono molti di più, ha confermato ieri il dipartimento della Difesa. Le persone potenzialmente esposte alle sostanze chimiche, scrive il New York Times, non sono solo soldati americani, ma anche militari iracheni e stranieri, contractors privati e civili.
L’esposizione dei soldati ad agenti chimici in Iraq era stata tenuta nascosta dal governo americano per un decennio. Come ha scritto il giornalista del New York Times che aveva pubblicato la prima inchiesta il 14 ottobre scorso, Christopher John Chivers, tra il 2004 e il 2011 i soldati americani in Iraq trovarono circa 5mila testate e bombe contenenti sostanze chimiche: ma non tutte furono distrutte. Dell’inchiesta di Chivers si era parlato molto non solo per le omissioni del governo americano, ma anche per il fatto che alcuni dei depositi dove furono trovate queste sostanze sono ora sotto il controllo dello Stato Islamico (IS).
Il New York Times racconta alcune storie di soldati che sono stati esposti alle sostanze chimiche, tra cui quella di un esperto di ordigni della Marina ancora in servizio attivo che nel dicembre 2006 si bruciò sull’avambraccio sinistro maneggiando una bomba vicino a Samarra, nel governatorato iracheno di Baghdad. Dopo essere entrato a contatto con l’iprite, gli rimase una macchia rossa per settimane, che a sua volta lasciò una cicatrice. Il soldato della Marina – che ha voluto rimanere anonimo – chiese aiuto medico a una base militare, ma gli fu negato. Un ufficiale del suo gruppo gli ordinò poi di non fare cenno dell’accaduto.
Le reazioni alla diffusione dell’indagine interna sono state piuttosto dure. Phillip Carter, a capo dei programmi per i veterani del Center for a New American Security (un think tank di Washington), ha definito gli errori del dipartimento della Difesa “una svista sorprendente”. Paul Rieckhoff, fondatore e direttore di Iraq and Afghanistan Veterans of America, ha detto che la fiducia sarà ripristinata solo con una maggiore condivisione delle informazioni. Il dipartimento della Difesa ha detto che metterà a disposizione un numero verde a livello nazionale per i soldati e i veterani che credono di essere rimasti esposti alle sostanze chimiche e che cercano cure mediche.
Le armi trovate dai soldati americani in Iraq risalgono tutte agli anni Ottanta, quando l’Iraq combatté una dura e violenta guerra contro l’Iran. Nelle prime fasi della guerra, alla fine del 1980, Saddam Hussein credette di poter sconfiggere rapidamente l’esercito iraniano, che stava subendo da qualche mese grandi trasformazioni come conseguenza della Rivoluzione khomeinista. L’Occidente, fino ad allora alleato con lo scià iraniano deposto proprio con la rivoluzione, decise di sostenere la guerra di Saddam Hussein per bilanciare il potere del nuovo governo religioso sciita dell’Iran. Negli anni Ottanta Saddam cominciò quindi ad essere armato pesantemente dall’esterno e sviluppò un programma segreto – conosciuto come “Progetto 922” – per la produzione di centinaia di tonnellate di gas nervino. Dopo l’invasione irachena del Kuwait del 1991 – che causò l’intervento americano in quella che si ricorda come la Prima guerra del Golfo – la maggior parte dell’arsenale chimico di Saddam Hussein fu distrutto. Parte di quello che rimase fu trovato dai soldati americani e iracheni dopo il 2003.