Che politico è Renzi
Michele Salvati espone in 5 punti l'idea che il presidente del Consiglio ha dato di sé finora, e aggiunge il tratto più originale: che vince
Michele Salvati, politologo ed esperto delle vicende del Partito Democratico – del cui progetto fu uno degli ispiratori – analizza oggi sul Corriere della Sera la figura politica di Matteo Renzi dopo i suoi primi nove mesi alla guida del governo, e quello che le sue scelte hanno fatto capire sui criteri che lo muovono.
Un totus politicus come Renzi nutre un comprensibile scetticismo per i programmi e per gli intellettuali che si dilettano a scriverli: il messaggio è affidato ad atti politici, a fatti, dichiarazioni, annunci, atteggiamenti. E dagli atti compiuti sinora mi sono fatto l’idea delle sue convinzioni politiche — della sua visione del mondo e dell’Italia — che provo a riassumere schematicamente nei seguenti cinque punti.
(a) L’orientamento ideologico di fondo è una versione del liberalismo di sinistra, attento non solo alle «libertà da», ma anche ad effettive «libertà per», ad una ragionevole uguaglianza di opportunità per le persone socialmente più svantaggiate, nella misura in cui è possibile assicurarla dati i vincoli economici e sociali che oggi l’ostacolano. Vincoli che però lentamente possono essere rimossi. Si tratta dunque di un liberale, non di un socialdemocratico. Come liberale non arriva agli estremi della signora Thatcher («ci sono gli individui, una cosa come la società non esiste»), ma non intende legarsi agli interessi di gruppi sociali organizzati e alle loro rappresentanze. Neppure a quelle dei lavoratori dipendenti, ai sindacati, il nesso che invece caratterizza la socialdemocrazia: per lui sono tutti lavoratori — «padroni» e dipendenti — e l’importante è che tra loro ci siano rapporti cooperativi, che le loro capacità siano valutate e premiate, che l’occupazione si estenda e che nessuno si accaparri di rendite non meritate.
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