La maratona in meno di due ore
Oggi che si corre quella di New York, il Washington Post si è chiesto cosa occorra a un atleta per battere l'attuale record mondiale maschile
di Michael Joyner – Washington Post @DrMJoyner
Michael Joyner è un docente e anestesista che lavora per Mayo Clinic, un’organizzazione medico-scientifica no-profit statunitense. Nel suo laboratorio si occupa principalmente delle reazioni del corpo umano a varie forme di stress fisico e mentale.
Quest’autunno, a Berlino, il keniota Dennis Kimetto ha fatto il nuovo record mondiale per una maratona: 2:02:57. È il primo uomo a percorrere quei 42,16 chilometri in meno di 2 ore e 3 minuti, e il suo record ha avviato una serie di discussioni riguardo a quando cadrà la barriera delle due ore per una maratona. Semplicemente: quanto veloce può andare un essere umano in una gara di resistenza del genere?
La partenza della maratona
La storia della maratona è basata su quella di Filippide, un messaggero che secondo la leggenda corse per 40 chilometri dal campo della battaglia di Maratona verso Atene nel 490 a.C. Filippide annunciò la grande vittoria dei Greci contro i Persiani e poi morì. Non una parola sul suo tempo di percorrenza ufficiale. C’è da fare un salto fino al 1896, e all’inaugurazione dei moderni Giochi olimpici che si sono tenuti in Grecia. La maratona pensata come gara fu organizzata come una corsa da Maratona ad Atene. La distanza complessiva fa aumentata di un paio di chilometri – fino agli attuali 42,2 – alle Olimpiadi a Londra per permettere una partenza dal Windsor Castle, e quella distanza fu scelta come standard all’inizio degli anni Venti.
Sempre più veloce
La progressione del record mondiale della maratona maschile si divide in tre epoche diverse. La prima dura dal 1908 fino a metà anni Cinquanta. In questo periodo di tempo i corridori cominciarono progressivamente ad allenarsi sempre più duramente. Dagli anni Cinquanta, i più forti si allenavano correndo più di 160 chilometri a settimana; gran parte provenivano dai paesi sviluppati. Nl 1960, l’etiope Abebe Bikila vinse la maratona alle Olimpiadi a Roma. La sua vittoria segnò l’inizio della globalizzazione della maratona, e il dominio degli atleti dell’Africa Orientale nelle competizioni di resistenza, come vediamo ancora oggi.
Il record ristagnò fino all’inizio degli anni Ottanta. È qui che cominciò davvero l’era del professionismo e che le grandi competizioni con grossi premi in denaro divennero una pratica ben consolidata.
Cosa serve per andare veloce?
Le ricerche in campo di fisiologia rivelano che sono tre le caratteristiche fondamentali di chi corre veloce. Primo: un grande maratoneta deve essere in grado di consumare grandi quantità di ossigeno durante il massimo sforzo fisico, circa 20-25 volte di più rispetto al valore a riposo. E questa capacità corrisponde al doppio della capacità di un giovane maschio fuori allenamento. Un corridore deve avere un cuore grande e forte, capace di pompare sangue ai muscoli che usano l’ossigeno.
Secondo: deve essere in grado di mantenersi all’80 per cento circa della sua frequenza cardiaca massima – solitamente 160 battiti al minuto – per diverse ore senza che questo comporti la formazione di acido lattico nei suoi muscoli. Allo stesso tempo, non deve esaurire i depositi di zucchero nel corpo e raggiungere il limite.
Terzo: deve essere meccanicamente efficiente nel trasformare l’energia in forza. I fisiologi parlano di “economia di esercizio”. Un maratoneta professionista deve essere in grado di correre senza consumare troppo ossigeno; questa efficienza è dovuta in parte a quanto bene il corridore utilizza i muscoli e i tendini delle gambe come fossero delle “molle” biologiche che immagazzinano energia a ogni colpo del piede per terra.
Questi fattori valgono sia per gli uomini che per le donne, ma mediamente le donne arrivano a consumare soltanto il 90 per cento della quantità massima di ossigeno consumato dagli uomini. Le donne hanno più grasso corporeo e il loro sangue contiene meno emoglobine, le proteine globulari che trasportano l’ossigeno. Essenzialmente, le donne hanno motori più piccoli che in proporzione generano meno potenza. Questo spiega perché i record mondiali femminili nelle corse sulla distanza sono circa il 10-12 per cento inferiori rispetto a quelli maschili.
Al momento, sembra che i corridori dell’Africa orientale finiscano sempre sul podio. I loro numeri, fisiologicamente parlando, non sono i migliori misurati in laboratorio. Ma a loro vantaggio c’è il fatto che tendono a essere di statura più piccola, sono fisicamente attivi fin dall’infanzia, vivono ad altitudini elevate e si allenano in modo incredibilmente tosto.
Quanto veloce si può andare?
Nel 1991 ho creato un modello di performance nelle maratone. Quando mi è stato chiesto cosa accadrebbe se uno stesso atleta riuscisse ad avere valori ottimali per tutte e tre le caratteristiche fondamentali, associate al successo nelle corse sulla distanza, il tempo stimato sarebbe appena sotto 1 ora e 58 minuti. Dopo aver rivisto il modello nel 2011 con i miei colleghi Alejandro Lucia e Jonatan Ruiz, abbiamo concluso che se la tendenza attuale dovesse mantenersi, il record di 2 ore dovrebbe essere battuto tra il 2025 e la fine degli anni Duemilatrenta. Quello che sembrava inconcepibile nel 1991 si sta avvicinando sempre di più, anno dopo anno. A partire dal 2007, con il tempo 2:04:26 fatto da Haile Gebrselassie, il record è stato battuto cinque volte, ed è stato migliorato di quasi 90 secondi, suggerendo che le nostre proiezioni sono sulla buona strada.
Non così veloce?
Molti record personali dei corridori professionisti alle maratone corrispondono a 4,6 e 4,7 volte i loro tempi record nelle corse da 10 chilometri. Utilizzando questo rapporto come regola, l’attuale record per la 10 chilometri – 26:17:53 – funziona come parametro di previsione di un tempo della maratona tra 2:01 e 2:03:25 circa. Valori simili emergono utilizzando vari convertitori e tabelle di punteggio. Questo indica che il record mondiale della maratona ammette margini di miglioramento.
Naturalmente, scendere di colpo da 2:03 a 2:00 sarebbe un miglioramento del 2,5 per cento, e grandi salti del genere nelle corse sulla distanza non si verificano da metà degli anni Sessanta. Quando venivano valutati in laboratorio, i migliori corridori di quell’epoca presentavano valori corrispondenti alla metà di quelli attuali. Insomma, non siamo al punto in cui ci ritroviamo con corridori drasticamente migliori dei loro predecessori. Ma ci sono un po’ di cose che possono aiutare questi corridori ad andare un pochino più veloce. Mi aspetto di vedere un tempo di 2:02 presto, e quando questo accadrà, lì comincerà il divertimento. Per arrivare a quel punto ancora più velocemente, e magari fino al 2:01, suggerisco queste tre cose:
• Uno schema dei premi in denaro che motivi i migliori corridori a presentarsi tutti alla stessa gara, segnare intermedi veloci e lavorare in gruppo il più a lungo possibile. Per esempio, dei premi in denaro a parte potrebbero essere suddivisi tra tutti gli atleti che riescano a stare entro determinati tempi dopo la mezza maratona, dopo i 30 chilometri, dopo i 35 e dopo i 40. La maratona non è come il golf: gli atleti professionisti, quelli più bravi, possono fare solo una o due gare all’anno, quindi devono ambire a premi consistenti quando ci arrivano.
• Sviluppare un circuito lungo 5-8 chilometri su una superficie veloce, e far partecipare soltanto i migliori corridori.
• Far correre la gara in una giornata fredda, verso il tramonto. Prove aneddotiche dimostrano che le persone corrono il pomeriggio o la sera un po’ più veloce che durante la mattina.
Probabilmente esistente un tempo minimo assoluto che un essere umano impiega per correre una maratona, ma non lo abbiamo ancora visto.
© Washington Post
Foto: La partenza della maratona di New York del 2013.
(Maddie Meyer/Getty Images)