Il Congresso di Vienna, 200 anni fa
Fu il tentativo delle grandi potenze europee di mettere ordine dopo la rivoluzione francese e Napoleone: introdusse un modo per discutere la fine delle guerre che dura ancora oggi
Il primo novembre del 1814 cominciò a Vienna, in Austria, il Congresso di Vienna, la riunione delle grandi potenze e dei piccoli stati europei che aveva lo scopo di rimettere ordine in Europa dopo 25 anni di guerre causate prima dalla rivoluzione francese e poi da Napoleone Bonaparte. Fu un evento importantissimo nella storia europea, anche se le conclusioni ottenute al Congresso – la restaurazione di numerose dinastie regnanti e una serie di rettifiche di confini – durarono molto meno delle modalità con cui furono ottenute. Per la prima volta, infatti, gli stati europei decisero che il modo giusto di mettere fine a una guerra era riunire tutti gli stati interessati e discutere una soluzione valida per tutti: un’idea che è sopravvissuta fino ad oggi.
Un po’ di contesto
Di cose da sistemare, nell’autunno del 1814, ce n’erano parecchie. In Europa era appena finito quello che venne considerato il più grande sconvolgimento dai tempi delle grandi guerre di religione, circa due secoli prima. Nel 1789, la rivoluzione francese aveva causato la fine del regno di Francia, una delle potenze più grandi e più antiche del continente europeo. Il nuovo stato, la Repubblica Francese, per quanto instabile e in perenne crisi economica, si era rivelato imbattibile per gli eserciti delle vecchie monarchie continentali. Dal 1793 in poi, la Francia non solo era riuscita a difendersi dai tentativi di restaurare il vecchio regime, ma in più di un’occasione era passata all’offensiva, conquistando nuovi territori.
Questo processo accelerò quando ai deboli e caotici governi post-rivoluzionari si sostituì la dura ma efficiente dittatura di Napoleone Bonaparte. Diventato Primo Console nel 1799 e poi Imperatore dei francesi nel 1804, Napoleone si era lanciato in una serie di guerre di conquista che nel 1807, al culmine del suo potere, lo avevano portato a dominare quasi tutta l’Europa dalla Spagna alla Polonia. Le due più grandi potenze continentali, Prussia e Austria, erano state umiliate, sconfitte e costrette alla pace, così come la Russia. Le conquiste di Napoleone avevano causato un vero e proprio sconvolgimento nella carta geografica d’Europa. Dinastie al potere da secoli erano state sostituite da parenti e fedelissimi di Napoleone. Alcuni confini erano stati cancellati e disegnati da capo, mentre nuovi stati erano stati creati accorpando vecchi regni o ducati.
Quando alla fine, dopo avere subito enormi perdite nella campagna di Russia, Napoleone fu finalmente sconfitto e costretto all’esilio all’Isola d’Elba, rimettere ordine in Europa divenne il maggior problema per le grandi potenze europee. La questione venne affrontata con un metodo innovativo, che sarebbe diventato la norma per i successivi due secoli. Dopo aver sconfitto Napoleone, gli alleati riuniti nella Sesta Coalizione – sesta perché ce ne erano state altre cinque prima, tutte mirate a sconfiggere Napoleone e tutte finite piuttosto male – decisero di firmare la pace con la Francia, specificando però che la soluzione definitiva del problema dei confini sarebbe stata rimandata ad una futura conferenza tra tutti i paesi coinvolti. In altre parole, la soluzione dei problemi politici e territoriali, per la prima volta, veniva separata dall’atto stesso di firmare una pace e veniva demandata ad una conferenza delle parti interessate.
Il Congresso
I primi incontri del Congresso cominciarono a Vienna a settembre, ma i colloqui, che si tennero nel Palazzo Reale di Hofburg (Vienna), non cominciarono formalmente fino al primo novembre. Le potenze principali alla conferenza erano gli stati che avevano vinto la guerra contro Napoleone: Regno Unito, Austria, Prussia, Russia. Con un ruolo meno importante erano presenti anche Svezia, Spagna e Portogallo, insieme a Danimarca, Svizzera, Stato Pontificio e decine e decine di piccoli staterelli tedeschi. Partecipava al congresso anche la Francia, dove le potenze vincitrici avevano installato sul trono Luigi XVIII di Borbone, il fratello di Luigi XVI, il re ghigliottinato durante la rivoluzione.
Anche se già all’epoca il Congresso veniva già chiamato “Congresso”, fu un affare piuttosto lontano da come ci si può immaginare un Congresso oggi. Ad esempio, non ci fu nessuna assemblea plenaria con i delegati delle varie parti riuniti in una grande sala a votare per alzata di mano. La gran parte del lavoro del Congresso si svolse durante riunioni informali e ristrette tra i rappresentanti delle grandi potenze, oppure nei piccoli comitati organizzati per risolvere specifiche questioni territoriali. Lo zar di Russia, il re di Prussia e quello di Danimarca parteciparono ad alcune fasi del congresso, arrivando a Vienna in grande stile, partecipando a qualche riunione a porte chiuse e poi lasciando la città tra gli squilli di tromba.
I lavori del Congresso furono continuamente inframezzati da feste, cene, balli e ricevimenti tenuti dalla corte austriaca, dai nobili viennesi oppure dalle numerose delegazioni convenute. La continua atmosfera di festa spinse un principe tedesco a dichiarare che «il congresso balla, ma non avanza». Infatti, nonostante tutte le varie potenze fossero state più o meno d’accordo nell’obiettivo comune di sconfiggere Napoleone, lo erano molto meno su quale sistemazione dare all’Europa ora che “l’orco còrso” (come chiamavano Napoleone) era stato sconfitto.
Le quattro grandi potenze avevano tentato già a settembre di decidere l’esito del Congresso. Il loro tentativo era stato frustrato dallo sforzo congiunto degli altri stati minori e dalla Francia stessa, che dopo la restaurazione di Luigi XVIII era riuscita a farsi ammettere al Congresso: ci riuscì grazie all’allora ministro degli Esteri francese, Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, più semplicemente noto come Talleyrand. Esponente di una famiglia aristocratica, vescovo (poi scomunicato) e rivoluzionario, Talleyrand fu uno dei pochi personaggi ad attraversare tutta la rivoluzione francese, l’epoca napoleonica e la restaurazione rimanendo sempre un protagonista. Fu per anni ministro degli Esteri sotto Napoleone, ma grazie alla sua capacità di mantenere contatti aperti con tutte le fazioni, riuscì a mantenere il ruolo anche dopo il ritorno dei Borbone. Per via della sua doppiezza, Napoleone un giorno lo definì «una calza di seta piena di merda» (“Vous êtes de la merde dans un bas de soie”, in francese).
Talleyrand riuscì a far passare negli atti del Congresso il principio che la Francia era stata vittima di Napoleone e che quindi il paese non meritava misure particolarmente punitive. Mentre i delegati francesi lottavano per implementare questo punto negli accordi, le grandi potenze si continuavano a dividere su una serie di questioni territoriali piuttosto complicate che riguardavano la sistemazione in particolare di alcuni piccoli stati tedeschi. Si arrivò così al febbraio 1815, un mese in cui in occasione del carnevale vennero tenuti in tutta Vienna dei festeggiamenti particolarmente sfarzosi. Proprio in quei giorni però, nella remota Isola d’Elba, si stava consumando l’incubo peggiore di tutti gli aristocratici d’Europa.
Il ritorno dell’orco
Il 26 febbraio del 1815 Napoleone Bonaparte salpò da Portoferraio, capitale dell’Isola d’Elba dove era stato esiliato. Con soltanto seicento uomini e un pugno di altri servitori, il primo di marzo sbarcò in Francia, a Cannes, intenzionato a riconquistare il trono di Francia. La notizia impiegò quattro giorni ad arrivare a Parigi e ci volle un’altra settimana perché arrivasse a Vienna. Anche se Napoleone era accompagnato soltanto da un pugno di uomini, la sua fama era tale che il panico si diffuse in tutta Europa. I giornali e i bollettini titolarono «Il diavolo si è scatenato» e «La tigre si è liberata dalla gabbia». Immediatamente a Vienna si diffuse un clima di reciproca diffidenza. Visti i contrasti che dividevano le grandi potenze, si domandavano i diplomatici, era possibile che qualcuno decidesse di allearsi con Napoleone, nella speranza di ottenere con le armi quello che non riusciva ad ottenere con la diplomazia?
Mentre a Vienna e nelle capitali d’Europa veniva commentata la notizia dello sbarco, Napoleone continuava la sua marcia verso Parigi. Il momento più critico ci fu il 5 marzo a Laffrey, vicino a Grenoble, quando il gruppo capeggiato da Napoleone incontrò gli uomini del 5° reggimento fanteria di linea, inviato da Luigi XVIII. Secondo le testimonianze di quel giorno, Napoleone avanzò da solo verso i soldati, aprì la giacca mostrando il petto e disse: «Soldati del 5°, potete sparare sul vostro imperatore se ne avete il coraggio!». Gli uomini gettarono i fucili e corsero ad acclamarlo. Accadde lo stesso con tutte le altre forze che Luigi XVIII inviò contro Napoleone nei giorni successivi, tanto che in quei giorni venne diffuso a Parigi un manifesto satirico che recitava: «Da Napoleone a Luigi XVIII. Mio buon fratello – non c’è bisogno che tu mi mandi altre truppe – ne ho abbastanza».
Luigi XVIII abbandonò Parigi e Napoleone ritornò sul trono senza sparare un colpo, ma fu la sua unica fortuna. Talleyrand si rifiutò di tornare a prestare servizio come suo ministro degli Esteri e rimase a Vienna, mentre i delegati che Napoleone inviò a Vienna per cercare di ottenere qualche appoggio tra le grandi potenze furono accolti freddamente e rimandati indietro. Il 25 marzo gli alleati abbandonarono ogni timore e firmarono un trattato di alleanza in cui promettevano solennemente di sconfiggere Napoleone una volta per tutte.
La fine del Congresso
Il nuovo regno di Napoleone durò soltanto cento giorni: dal 20 marzo all’8 luglio 1815. Napoleone venne sconfitto militarmente nella battaglia di Waterloo, il 18 giugno del 1815 e venne nuovamente esiliato, questa volta nella molto più remota e sicura isola di Sant’Elena, in mezzo all’Oceano Atlantico. Nel frattempo, il 9 giugno, il Congresso era già giunto alla sua conclusione. Il ritorno di Napoleone aveva contribuito a riunire nuovamente le grandi potenze, ricordando a tutti i delegati che sull’Europa gravava ancora la minaccia del bonapartismo. I vari punti di discordia furono risolti e dal Congresso uscì una nuova carta dell’Europa.
Ironicamente, nonostante il Congresso si fosse concluso con un trionfo delle grandi potenze seguito poco dopo da un trionfo militare sullo stesso Napoleone, gran parte di quello che era stato creato non sopravvisse a lungo. Il tentativo di creare una confederazione di stati tedeschi in Germania e quello di mantenere un’Italia divisa in piccoli potentati portò a una serie di insurrezioni e guerre di unificazione che durarono per i 50 anni successivi. Quello di creare un forte regno d’Olanda a nord della Francia portò nel giro di vent’anni alla guerra di indipendenza che fece nascere il moderno Belgio. Il tentativo di ignorare e reprimere i sentimenti nazionalistici che la rivoluzione francese e Napoleone avevano disseminato in tutta Europa causarono proteste, rivolte e insurrezioni che culminarono con le rivoluzioni del 1848. Anche in Francia la restaurazione dei Borbone fallì e nel giro di quindici anni la dinastia venne sostituita (e altri quindici anni dopo la Francia divenne di nuovo una Repubblica).
Quello che invece sopravvisse fu il metodo con cui il Congresso era stato portato avanti. L’idea che i grandi conflitti e le questioni internazionali andassero risolte da riunioni a cui partecipavano tutte le nazioni coinvolte era oramai entrata nella cultura della diplomazia europea. Un secolo dopo questa idea avrebbe assunto la forma della Società delle Nazioni e, a meno di 150 anni dalla chiusura del Congresso, avrebbe portato alla nascita delle Nazioni Unite.