La deposizione di Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica ha risposto alle domande dei pm e degli avvocati sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia", e ora chiede che la trascrizione sia resa pubblica
Aggiornamento 14.40 – Il comunicato del Quirinale successivo alla deposizione:
Si è svolta stamattina nel Palazzo del Quirinale l’udienza del processo in corso davanti alla II Sezione della Corte d’Assise di Palermo nella quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che aveva dato la sua disponibilità a testimoniare, ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa.
L’udienza è durata circa tre ore.La Presidenza della Repubblica auspica che la Cancelleria della Corte assicuri al più presto la trascrizione della registrazione per l’acquisizione agli atti del processo, affinché sia possibile dare tempestivamente notizia agli organi di informazione e all’opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato con la massima trasparenza e serenità.
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Intorno alle 10 di questa mattina è iniziata la deposizione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, come testimone nell’ambito del processo sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” avviato dai magistrati della procura di Palermo. Napolitano si trova al Quirinale, la sede della presidenza a Roma, dove è in corso un’udienza speciale a cui saranno normalmente presenti gli avvocati e la corte giudicante. Anche se non sarà segreta, è stato deciso che la deposizione del presidente della Repubblica sia a porte chiuse e senza un collegamento in videoconferenza con i boss mafiosi imputati nel processo come Totò Riina, che avevano richiesto di assistere. A inizio ottobre la Corte d’Assise di Palermo aveva infatti stabilito che la loro presenza non sarebbe stata necessaria, decisione che ha portato a diverse polemiche.
Stando alle informazioni raccolte da Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, per l’udienza di oggi i pubblici ministeri avrebbero preparato una ventina di domande da rivolgere direttamente a Giorgio Napolitano. Non necessariamente saranno formulate tutte, perché alcune potrebbero essere rese superflue dal tipo di risposte fornite dal presidente della Repubblica. Luca Cianferoni, avvocato difensore di Totò Riina, ha detto di avere preparato almeno una ventina di domande, aggiungendo di essere disposto a formularne anche cinquanta “se me le fanno fare”. Spetterà ai giudici decidere quali domande possono essere considerate ammissibili, e Napolitano avrà la facoltà di non rispondere ad alcune di esse.
All’udienza prendono parte, tra gli altri, il procuratore aggiunto Leonardo Agueci, il suo collega Vittorio Teresi e i sostituti procuratori Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Gli avvocati difensori degli altri imputati e i rappresentanti delle parti civili partecipano per verificare il corretto svolgimento dell’udienza, ma non dovrebbero intervenire salvo non siano necessarie richieste di chiarimenti sulle testimonianze rese da Giorgio Napolitano.
Il processo sulla “trattativa”
Il processo sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia” va avanti da molto tempo, tra discussioni e polemiche ricorrenti. I magistrati della procura di Palermo che si sono occupati delle inchieste, nate sulla base delle dichiarazioni di alcuni mafiosi, ipotizzano che dopo gli anni delle stragi di mafia del 1992 e 1993 lo Stato avesse provato ad accordarsi con le principali organizzazioni mafiose per porre fine alle violenze in cambio di una attenuazione dell’articolo 41 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, che prevede carcere duro e isolamenti per le persone condannate per la loro appartenenza a organizzazioni criminali. L’accordo sarebbe stato portato avanti in un particolare momento storico, immediatamente successivo alla sentenza del cosiddetto “Maxiprocesso” in cui furono condannati all’ergastolo Totò Riina e diversi altri capi mafiosi.
Il processo sulla presunta trattativa è nella sua fase dibattimentale e secondo le stime più ottimistiche si arriverà a sentenza solo tra un paio di anni. Gli imputati sono numerosi e comprendono boss mafiosi – come Totò Riina, Bernardo Provenzano, Antonino Cinà e Leoluca Bagarella – alcuni ufficiali delle forze dell’ordine e politici come Nicola Mancino, Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri.
In questi anni più volte sono stati espressi dubbi sul fatto che esistano prove dell’esistenza di questa “trattativa” che vadano oltre le dichiarazioni rese molti anni dopo da ex mafiosi e personaggi come minimo di dubbia affidabilità, come Massimo Ciancimino. Il titolare del procedimento dall’origine delle indagini e fino al deposito della memoria conclusiva è stato Antonio Ingroia, che il 29 ottobre del 2012 ha tenuto la sua ultima udienza nel processo sulla trattativa decidendo prima di accettare un incarico per l’ONU in Guatemala e poi di tornare dopo due mesi in Italia per candidarsi, senza successo, alla presidenza del Consiglio con la coalizione politica Rivoluzione Civile. Ingroia oggi nel processo rappresenta come avvocato l’Associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, ammessa come parte civile. L’accusa è ora rappresentata in aula dai pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.
Cosa c’entra Giorgio Napolitano
Tra l’autunno del 2011 e la primavera dell’anno seguente, la procura di Palermo intercettò telefonate tra Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, e chiamate dirette tra lo stesso Mancino e il presidente della Repubblica. La notizia delle intercettazioni divenne di dominio pubblico nel 2012 portando a un complicato confronto istituzionale tra la procura di Palermo e la presidenza della Repubblica. Intercettando Mancino era stato intercettato anche Napolitano e fu sollevata la questione se il presidente potesse essere o meno intercettato e se le sue comunicazioni dovessero essere eliminate immediatamente, a prescindere dal loro contenuto. A fine 2012 la Corte Costituzionale risolse il contenzioso accogliendo il ricorso di Napolitano e ordinando la distruzione delle intercettazioni.
La procura di Palermo continuò però a insistere sulla necessità di coinvolgere Giorgio Napolitano nel processo, citando alcune frasi scritte da Loris D’Ambrosio (che è morto nell’estate del 2012) in una lettera del gennaio 2012 quando era consigliere giuridico del Quirinale. La lettera in questione fu pubblicata dal Quirinale nel volume “La Giustizia. Interventi del Capo dello Stato e Presidente del CSM 2006-2012”. In un passaggio D’Ambrosio esprimeva il “timore” di “essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993″.
Napolitano nel corso dell’udienza dovrebbe quindi riferire su quelle frasi. Lo scorso novembre il presidente della Repubblica aveva inviato una lettera al presidente della Corte nella quale diceva di non aver avuto «ragguagli» o «specificazioni» da D’Ambrosio e quindi di non avere «da riferire alcuna conoscenza utile al processo». Nonostante questo, la Corte ha deciso di raccogliere la testimonianza di Napolitano, al Quirinale.