Il primo trapianto di cuore non battente
È avvenuto in un ospedale australiano, da un donatore il cui battito era cessato da 20 minuti: è una tecnica che potrebbe estendere la disponibilità di cuori per i trapianti
Un team di chirurghi dell’ospedale Saint Vincent di Sydney, in Australia, ha annunciato di essere riuscito a trapiantare con successo in una giovane paziente il cuore di un donatore il cui battito cardiaco era cessato da circa 20 minuti: si tratta del primo caso conosciuto di trapianto di un cuore “morto”, come è stato definito da gran parte dei media che ne hanno scritto. Solitamente il cuore donato ai pazienti in attesa di trapianto proviene da donatori di cui sia stata accertata e dichiarata la morte cerebrale ma non la cosiddetta morte “circolatoria”. Quindi paziente che presentano ancora battito cardiaco: il cuore è l’unico organo il cui trapianto può avvenire soltanto a queste condizioni, o almeno così è stato largamente ritenuto finora dalla comunità scientifica.
Il cuore utilizzato dal team dell’ospedale australiano è stato “riportato in vita” usando una macchina comunemente nota col nome di “heart-in-a-box” (letteralmente significa “cuore in scatola”), e cioè una macchina portatile di perfusione cardiaca sviluppata dall’azienda TransMedics™ e già largamente usata in ambito clinico. All’interno della macchina il cuore viene mantenuto a una temperatura costante, e il battito cardiaco viene ripristinato mentre il muscolo cardiaco viene irrorato con un fluido con una speciale composizione chimica per ridurre possibili danni ai tessuti. La tecnica standard al momento utilizzata nei trapianti di cuore, invece, prevede che l’organo sia prelevato dal donatore mentre il battito è ancora presente: viene quindi mantenuto e trasportato nel ghiaccio per poche ore fino a che non viene trapiantato nel donatore.
La prima paziente che ha ricevuto il cuore è una 57enne che soffriva di un difetto cardiaco congenito e che si è sottoposta all’intervento più di due mesi fa. Il responsabile dell’unità di trapiantologia cardiaca dell’ospedale St. Vincent, Peter MacDonald, ha detto che questa scoperta potrebbe avere effetti positivi considerevoli, soprattutto per superare l’attuale carenza di donatori di cuore. Dal caso della prima paziente di 57 anni, nello stesso ospedale ci sono state altre due operazioni che hanno avuto successo. Si calcola che questo utilizzo del “cuore in scatola”, aumentando la disponibilità di cuori di possibili donatori, potrebbe contribuire a salvare il 30 per cento di vite in più in tutto il mondo.
BBC ricorda che simili tecniche di riscaldamento e conservazione degli organi in macchine esterne sono già utilizzate nell’ambito della trapiantologia per migliorare la qualità di alcuni organi (come i polmoni e il fegato) prima di essere trapiantati. «È troppo presto per prevedere quante persone potrebbero essere salvate ogni anno grazie ai trapianti, se questa tecnologia diventasse in futuro lo standard nell’ambito dei trapianti di organi», ha detto James Neuberger, medico associato direttore dell’NHS Blood and Transplant, un ente governativo britannico fondato nel 2005 dal Dipartimento della Salute.