Quando Internet dorme
Un nuovo studio spiegato da Slate mette in relazione gli orari degli utenti con il PIL pro capite del loro paese
di Boer Deng - Slate
Va mai a dormire, Internet? No, se vivi negli Stati Uniti: lo dimostra un nuovo studio di James Heidemann e dei suoi colleghi dell’Information Sciences Institute (ISI) alla University of South California. Ma ci sono posti dove in effetti Internet riposa, come ha rivelato lo studio che ha preso in esame più di 500 milioni di indirizzi IP pubblici nel mondo.
Heidemann e i suoi colleghi hanno studiato le variazioni e gli schemi con cui gli IP pubblici si attivano in un periodo di 24 ore. Naturalmente ci sono orari in cui le connessioni aumentano o diminuiscono spontaneamente: i ricercatori hanno però scoperto che i picchi e i declini tendono a verificarsi in alcuni posti precisi, seguendo quello che Heidemann ha chiamato uno schema “diurno” di utilizzo della rete. Come mostrato nel video qui sotto, alcune parti del mondo hanno un numero costante di connessioni attive, con una variazione inferiore al 5 per cento nel corso del giorno (sono le aree in bianco). Al contrario, in Asia, Europa orientale e America latina l’attività aumenta durante il giorno e diminuisce durante la notte (aree in rosso o blu).
La variazione è maggiore nei paesi dove il PIL pro capite e il consumo di elettricità è più basso, ha scoperto Heidemann – non una sorpresa, visto che è meno probabile che un utente più povero abbia un accesso costante alla rete. Forse utilizza la connessione di un internet café aperto solo durante il giorno, oppure di notte spegne la propria connessione casalinga per risparmiare sulla bolletta. Al contrario, nei paesi dalle economie più floride – come l’Europa occidentale e il Nord America – i modem rimangono costantemente accesi (quindi un IP pubblico è considerato attivo), anche nel caso l’utente spenga il suo computer. Anche lo stato delle reti e le regole governative fanno la differenza: in un posto dove l’utilizzo di Internet è ormai diffusissimo, i punti di accesso rimangono costantemente accesi.
In più, nei paesi ricchi è presente una notevole attività “commerciale” rispetto a quelli più poveri. Mentre le persone fisiche accedono a Internet prevalentemente durante il giorno, l’accesso da parte di strumenti artificiali avviene perlopiù di notte – come quello di una società che fa un backup dei propri dati online. Attività del genere contribuiscono a far rimanere attivi gli IP per tutte le 24 ore.
Misurare l’attività degli IP pubblici ha richiesto che Heidemann e i suoi colleghi prendessero in esame un ampio campione fra i 4 miliardi di IP presenti nel mondo. Hanno compiuto lo studio esaminando 3,7 milioni di gruppi di IP, ognuno dei quali conteneva 256 indirizzi simili e conseguentemente vicini geograficamente. Oltre alla correlazione con il PIL pro capite, hanno scoperto che nei gruppi in cui Internet è un’introduzione recente la connessione è più episodica e “a richiesta”.
La ricerca, chiaramente, non può dire i motivi precisi per cui l’attività degli IP è più stabile in occidente e segue dei cicli regolari nei paesi ad economia emergente. Ma un paragone riguardo la diffusione e l’utilizzo fra paesi ricchi e paesi poveri suggerisce che la qualità e la pervasività delle reti siano due importanti fattori nelle variazioni. Solo il 19 per cento degli indiani ha accesso a Internet: la percentuale sale all’86 per cento negli Stati Uniti e a più del 90 per cento in Estonia, che nel 2000 aveva definito l’accesso a Internet un diritto naturale. Al contrario degli altri paesi dell’Europa orientale, inoltre, l’utilizzo di Internet in Estonia è costante: il suo PIL pro capite è doppio rispetto a quello della Bielorussia, dove c’è una variazione del 15 per cento, nel corso del giorno, fra le connessioni.
In un mondo dove il commercio, il sapere e la ricchezza sono spesso scambiati online, investire per facilitare una connettività costante può essere saggio: la sua adozione incrementa l’attività online ed è «una causa diretta della crescita del PIL di una economia».
foto: ALAIN JOCARD/AFP/Getty Images
© Slate 2014