La Spagna va sempre meglio
La disoccupazione è diminuita ancora ed è ai minimi da tre anni, ma il mercato del lavoro resta frammentato e "precario"
Da qualche tempo le notizie sull’economia spagnola sono piuttosto buone. C’è chi ha parlato di “miracolo spagnolo”, chi ha spiegato che la “Spagna ha voltato pagina” (è il titolo di una recente relazione del Fondo Monetario Internazionale sul paese) e chi comunque suggerisce cautela perché il potenziale di crescita va misurato sul lungo termine e la Spagna «non è ancora fuori dai guai». Sta di fatto, però, che l’esistenza di una ripresa economica è innegabile.
Dopo una grave crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008 e nove trimestri di seguito in negativo, la Spagna è uscita dalla recessione nell’ottobre del 2013. I dati positivi da allora sono arrivati lenti ma costanti. L’Istituto nazionale di Statistica giovedì 23 ottobre ha detto che tra luglio e settembre (terzo trimestre 2014) il tasso di disoccupazione è sceso di circa un punto, passando dal 24,5 al 23,7 per cento (un anno fa era al 25,7). Circa 195.200 persone hanno trovato un lavoro, mentre 5,4 milioni sono invece ancora disoccupate. Si tratta comunque di una cifra molto elevata (seconda solo a quella della Grecia, dove la disoccupazione supera il 26 per cento), ma si tratta anche del dato più basso degli ultimi tre anni in Spagna.
Il tasso di disoccupazione è elevato soprattutto tra i giovani sotto i 30 anni: 45 per cento. Il governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy, conservatore del Partito Popolare in carica dalla fine del 2011, sostiene che entro la fine della legislatura (il 2015) saranno creati 622 mila nuovi posti di lavoro. La previsione appare giustificata dall’espansione degli ultimi quattro trimestri, modesta ma costante, e da una crescita complessiva del PIL spagnolo per il 2014 fissata all’1,2 per cento (il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto la stima al rialzo lo scorso agosto).
Al miglioramento dell’occupazione hanno contribuito due principali fattori: è diminuita la forza lavoro complessiva del paese (il numero di lavoratori stranieri è sceso di 51 mila unità nel terzo trimestre dell’anno) ed è stata introdotta una legge di riforma del mercato del lavoro che rende il mercato stesso più flessibile (sono stati ridotti della metà, per esempio, i costi dei licenziamenti per le imprese in difficoltà ed è stato reso più semplice ridurre i loro stipendi). Il mercato del lavoro spagnolo resta quindi estremamente frammentato e una grande percentuale di lavoratori e lavoratrici dipendono da un contratto temporaneo o part-time che, a causa della crisi, hanno comunque accettato.
Il recupero economico in generale è dovuto soprattutto all’aumento dei consumi privati, a una forte fiducia da parte dei consumatori stessi, a una ripresa degli investimenti delle imprese e a un miglioramento delle esportazioni. Sono aumentate le tasse per rafforzare le entrate fiscali (come quelle universitarie); gli ammortizzatori sociali, gli investimenti pubblici e i costi della pubblica amministrazione sono stati tagliati, il settore finanziario è stato reso più solido (anche grazie al prestito da 41 miliardi di euro alle banche da parte dell’UE e della BCE); è stato rivisto il sistema pensionistico. Tutti interventi che hanno causato nel paese manifestazioni e proteste, ma che – almeno sulla carta – hanno portato a dati e numeri positivi.