Declino di un portiere
Come ha fatto Iker Casillas a passare in pochi anni dall'essere considerato un monumento a fare una sciocchezza dopo l'altra
Davide Coppo ha raccontato sul sito di Undici, una rivista trimestrale che si occupa di calcio e cultura, la storia di Iker Casillas, portiere del Real Madrid e della nazionale spagnola che nel giro di alcuni anni è passato dall’essere considerato uno dei più forti nel suo ruolo a uno considerato molto molto scarso. Coppo associa l’inizio del declino di Casillas a due infortuni capitati rispettivamente nel gennaio e nel settembre del 2013, e soprattutto a un rapporto molto complicato con l’allenatore José Mourinho, che è rimasto al Real Madrid dal 2010 al 2013. È una storia ancora in corso – Casillas ha avuto pesanti responsabilità anche nella sonora sconfitta della Spagna contro l’Olanda, ai Mondiali di questa estate – ed è una vicenda affascinante anche dal punto di vista umano.
Nel febbraio 2008 il giornalista statunitense Brian Phillips, sulle pagine Internet del sito The Run of Play, dedicava la rubrica del martedì “The Tuesday portrait” a Iker Casillas. Scriveva: «Iker Casillas is the most comfortable player in football, because, playing the most terrifying role, he’s better than anyone else at escaping when he’s out of position, in trouble and alone», e poi «[t]he ball rises over him at an unreachable angle, and somehow, leaping like a marionette whose master has just pulled its strings, he flings himself back and tips it safely over the bar. He’s fallen to the ground, well off his line; the attacker bears down on him; and somehow, rolling to smother the shot, he gets the ball away. A man turns into the spider and suddenly turns back». Somehow, in qualche modo: è l’avverbio perfetto per descrivere in modo compiuto una parata inaspettata, un movimento repentino che lo spettatore non si aspetta. Uno può aspettarsi il tiro, scelta razionale, assiste alla preparazione e segue la traiettoria del pallone verso la porta, dove il giocatore di movimento ha scelto di piazzarlo. La parata non si sceglie, non sempre, non quella ravvicinata: è l’istinto o sono i fili di un burattino che muovono il corpo verso destra, sinistra, in piedi e di nuovo per terra, in spaccata, è una coreografia grottesca e spesso poco aggraziata.
È il febbraio 2008 e Iker Casillas non è ancora entrato nella storia come, ad esempio, l’unico portiere ad aver vinto due Europei di calcio e un Mondiale. È il 2008 e il portiere campione del Mondo in carica è Gianluigi Buffon, il campione d’Europa Antonis Nikopolidis, il vincitore della Champions League Nelson Dida e della Coppa Uefa Andrés Palop. Iker ha appena vinto la Liga con il Real Madrid, allenato da Fabio Capello, eppure il premio Zamora è andato a Pato Abbondanzieri, del Getafe. Iker Casillas è uno dei migliori portieri in circolazione, ma senza la consacrazione internazionale. Ho cercato di capire a quale parata si stesse riferendo Brian Phillips, ne ho trovata una simile in un Clasico vinto dal Real Madrid al Camp Nou il 23 dicembre 2007. Il Barcellona sta spingendo da mezz’ora e al minuto 33, appena prima del contropiede madridista che porta Julio Baptista in rete, una palla tesa e rasoterra dalla fascia destra corre verso il centro dell’area (purtroppo non capisco di chi sia l’assist: guardando le formazioni, forse di Xavi). Qui arriva Ronaldinho, in corsa, che tira più o meno dall’altezza del dischetto del rigore, forte e non troppo angolato, quello che alcuni telecronisti chiamano “botta sicura”, e Iker Casillas si accartoccia sul pallone e lo respinge con il palmo della mano, la parte bassa, che poi (ho scoperto cercando su Google) è la parte in cui convergono le linee della vita, del destino, dell’intuito e della felicità, il che è strano e curioso quando si tratta di una storia come questa. La palla rimane nell’area piccola o poco fuori, un difensore madridista (Cannavaro? Ramos?) cerca di proteggerla ma è una scelta suicida e infatti da dietro arriva Iniesta che lo sposta e tira al volo, e qui il burattinaio che controlla Casillas alza la marionetta e la fa cadere sul posto con le gambe distese in avanti che respingono la palla, e tutto questo non accade in dieci righe ma in due secondi, forse al massimo tre.
(Continua a leggere sul sito di Undici)