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  • Lunedì 20 ottobre 2014

In Giappone il governo è in difficoltà

Si sono dimessi i ministri dell'Industria e della Giustizia, accusate di piccole irregolarità: sono due delle cinque donne nominate con grande solennità poche settimane fa

Japanese Prime Minister Shinzo Abe (C) answers questions during a short press interview at his official residence in Tokyo on October 20, 2014. Two of the five women in Shinzo Abe's Japanese cabinet resigned, beset by allegations of misusing political funds, dealing a blow to the prime minister's efforts to boost the profile of women.AFP PHOTO / KAZUHIRO NOGI (Photo credit should read KAZUHIRO NOGI/AFP/Getty Images)
Japanese Prime Minister Shinzo Abe (C) answers questions during a short press interview at his official residence in Tokyo on October 20, 2014. Two of the five women in Shinzo Abe's Japanese cabinet resigned, beset by allegations of misusing political funds, dealing a blow to the prime minister's efforts to boost the profile of women.AFP PHOTO / KAZUHIRO NOGI (Photo credit should read KAZUHIRO NOGI/AFP/Getty Images)

Due ministri del governo giapponese si sono dimessi nelle ultime ore: Yuko Obuchi era ministro dell’Industria, Midori Matsushima era ministro della Giustizia. Matsushima nelle ultime settimane era stata accusata dall’opposizione di aver violato le leggi sulle elezioni e la propaganda elettorale; Obuchi era stata accusata di aver usato in modo illecito i fondi raccolti in campagna elettorale.

Le dimissioni dei due ministri sono considerate un grosso problema per il primo ministro, Shinzo Abe: non solo perché fanno parte del suo partito, il Partito Liberaldemocratico, ma anche perché sono donne e Abe negli ultimi tempi aveva rivendicato – anche con un rimpasto e un discorso piuttosto solenne – la volontà di portare più donne al governo. Le due donne dimissionarie sono state sostituite con Yoichi Miyazawa, un uomo, e Yoko Kamikawa, una donna.

Obuchi era stata nominata soltanto un mese fa ed era considerata una potenziale erede di Abe alla guida del governo. L’opposizione l’ha accusata di aver speso per scopi non politici parte dei fondi raccolti dai sostenitori durante la campagna elettorale: lei ha detto di non aver fatto niente di male ma di volersi dimettere per evitare che i suoi problemi condizionino il governo. Obuchi si è anche scusata per non aver potuto dare il suo contributo alla ripresa economica del paese e alla costruzione «di una società dove le donne possano avere successo». Poche ore dopo si è dimessa anche Matsushima, anche lei nominata poche settimane fa, accusata dall’opposizione di aver fatto distribuire volantini di propaganda elettorale nel suo collegio: una legge giapponese vieta ai politici di distribuire “oggetti di valore” (i volantini avevano un valore dell’equivalente di pochi centesimi di euro l’uno).

Anche un altro ministro donna ha creato qualche problema a Shinzo Abe in queste settimane: sono spuntate delle fotografie che mostrano Eriko Yamatani, responsabile del governo per i rapporti con la Corea del Nord, insieme a un gruppo ultra-nazionalista accusato di razzismo verso i coreani. Peraltro il primo governo Abe in Giappone, tra il 2006 e il 2007, cadde proprio dopo una serie di scandali e inchieste che coinvolsero vari ministri. Come fa notare il Wall Street Journal, infatti, le dimissioni dei ministri non sono un fenomeno così nuovo in Giappone: lo stesso partito di Shinzo Abe, quando era all’opposizione, costrinse alle dimissioni quattro ministri per piccole infrazioni e frasi infelici.

Secondo il Wall Street Journal queste dimissioni indicano un possibile imminente riequilibrio dei poteri nella politica giapponese: l’opposizione del Partito Democratico ha ottenuto le sue prime vittorie da mesi e potrebbe da qui in poi avere più influenza in Parlamento. Il primo ministro Abe continua però a essere molto popolare, secondo i sondaggi, soprattutto per via della stanchezza dell’elettorato per l’instabilità cronica della politica giapponese; il suo problema più grosso, più che le dimissioni dei ministri, è l’efficacia della sua politica economica.