Passiamo troppo tempo sullo smartphone?
Una giornalista del New York Times si è chiesta se controllare notifiche di continuo non rischi di peggiorare le nostre relazioni, e segnala alcune possibili soluzioni
Su Bits, il blog tecnologico del New York Times, la giornalista Jenna Wortham si è interrogata sul tema ricorrente e ampiamente dibattuto degli effetti del progresso tecnologico sulle relazioni sociali: cioè se l’utilizzo degli smartphone abbia migliorato le nostre vite oppure no, e se un numero eccessivo di ore passate usando questi dispositivi rischi di sottrarre tempo alle nostre relazioni umane, peggiorandole. Nel suo articolo Wortham propone una serie di argomenti interessanti, legati soprattutto a cambiamenti possibili nelle abitudini degli utilizzatori di smartphone.
Pur inserendo sé stessa tra le persone che fanno un utilizzo piuttosto frequente dello smartphone («è la prima cosa che afferro al mattino e l’ultima che uso prima di dormire»), Wortham dice di essere di quelli che lo mettono via in alcuni momenti della giornata: a pranzo, per esempio, o quando esce con gli amici. Riguardo la questione se sia meglio ora, o se fosse meglio prima, quando gli smartphone non c’erano, Wortham è abbastanza chiara da subito:
«Il telefono ha migliorato la mia vita. Mi ha reso una lavoratrice migliore, mi ha permesso di avere un rapporto d’amore a distanza, sano e durevole, e di tenermi in contatto con gli amici. Tuttavia, riconosco di aver usato anche io il telefono come “stampella”, per evitare di parlare con persone che non conoscevo a una festa, o di annoiarmi in attesa di un amico al bar. Sono facilmente distratta dai vari suoni e vibrazioni che provengono dal mio iPhone, e spesso mi ritrovo a controllare le notifiche in un ciclo interminabile, leggere la timeline dei miei social media e rispondere a email e sms non urgenti. Spesso non riesco a resistere alla tentazione di dare un’occhiata allo schermo dello smartphone durante un film al cinema o anche in altre occasioni. E per quanto detesti ammetterlo, riconosco di essere stata a volte talmente presa con un messaggio di testo da quasi scontrarmi con una persona per strada».
Uno studio recente della Kent State University, in Ohio, ha mostrato che gli studenti che fanno un uso molto frequente dello smartphone tendono ad avere livelli più alti di ansia e insoddisfazione rispetto a quelli che ne fanno un uso più moderato. Nel 2012 una correlazione tra i livelli di ansia e il numero di notifiche di messaggi durante l’utilizzo dello smartphone per scopi personali – non di lavoro – era stata dimostrata anche da una ricerca di un’università del Regno Unito, la University of Worcester: i casi di persone con i livelli di stress più elevato avevano anche avvertito vibrazioni dello smartphone quando non c’erano notifiche (un fenomeno frequente, definito in quella ricerca con l’espressione “vibrazione fantasma”).
Un apprezzato vignettista statunitense che collabora con il New Yorker, Liam Francis Walsh, ha spesso trattato nelle sue vignette il tema della “dipendenza da smartphone” (ce ne sono di bellissime tra quelle pubblicate sul New Yorker). Walsh non possiede uno smartphone e definisce sé stesso come uno di quelli che hanno cominciato a usare dispositivi tecnologici con un certo ritardo. La prima volta che ha cominciato a trovare molto buffe le costanti interazioni delle persone con i dispositivi elettronici, a quanto racconta, è stato quando si è scontrato con un lampione mentre scriveva un messaggio di testo sul suo telefono. Dice anche che non disporre di Facebook sul suo telefono lo aiuta a lavorare meglio.
Wortham segnala una serie di applicazioni nate di recente che permettono di monitorare il tempo che viene trascorso utilizzando lo smartphone, e che stanno avendo molto successo. Appartengono a quel genere più ampio – e in grande espansione – di applicazioni che permettono di tenere traccia delle attività quotidiane, dai cicli del sonno alla corsa o ad altre attività fisiche.
Una delle applicazioni di maggior successo è “Moment”, che permette di calcolare quanti minuti al giorno viene utilizzato lo smartphone, e lo segnala ogni tanto con delle notifiche durante la giornata. Il creatore dell’applicazione, Kevin Holesh, dice di aver avuto l’idea e aver deciso di sviluppare Moment accorgendosi una sera che sia lui che sua moglie stavano trascorrendo il momento della cena controllando lo smartphone. Holesh sostiene di non aver creato Moment per “denunciare” la dipendenza da smartphone dei nostri tempi, o cose del genere, ma per permettere alle persone di conoscere ed eventualmente modificare le loro abitudini di utilizzo dello smartphone. E in molti lo fanno: secondo alcune statistiche riportate dallo stesso Holesh, le persone che scaricano Moment – è a pagamento – tendono a utilizzare lo smartphone mediamente 25 minuti al giorno in meno rispetto a prima di scaricare l’applicazione.
Un gruppo di San Francisco ha sviluppato invece “Checky”, un’applicazione gratuita che tiene traccia di quante volte il telefono viene controllato – cioè attivato passando dalla modalità stand-by – durante il giorno: in poche settimane è stato scaricato quasi 250 mila volte. Utilizzando sia Checky che Moment, Wortham ha scoperto che in una giornata non lavorativa (sabato) ha controllato lo smartphone 70 volte e trascorso complessivamente più di tre ore utilizzandolo. È complicato capire se sia poco o tanto, dice Wortham, considerando che è andata a spasso per la città, ha pranzato con le amiche e ha visto un film al cinema. Una cosa che queste applicazioni non fanno, dice Wortham, è distinguere tra tempo trascorso utilizzando lo smartphone per leggere, per fare acquisti o per scrivere messaggi, per esempio; e di conseguenza non segnalano neanche i momenti della giornata in cui queste attività vengono maggiormente svolte. Di sicuro però, conclude Wortham, è “illuminante” scoprire esattamente quanto tempo trascorriamo utilizzando lo smartphone.
Foto: AP Photo/Ramon Espinosa