Il Sinodo e i preti di provincia
Carlo Verdelli ha intervistato su Repubblica un parroco di un paese in provincia di Varese, ricavandone auspici e timori sull'assemblea dei vescovi che si conclude domani
Carlo Verdelli, ex direttore della Gazzetta dello Sport e di Vanity Fair, ha intervistato per Repubblica il parroco di Solbiate Arno, un paese in provincia di Varese, in merito alle questioni discusse dal Sinodo dei vescovi, un’assemblea rappresentativa di cardinali e vescovi della chiesa cattolica che si è riunita il 5 ottobre per discutere di temi legati alla famiglia e alla sessualità. Il parroco, che ha 47 anni ed è uno dei circa 2200 sacerdoti della Diocesi di Milano (che comprende anche territori esterni alla provincia della città), conferma in sostanza la teoria dell’eccessiva separazione fra vita dei fedeli e dottrina della Chiesa: e si augura di ricevere, in seguito al Sinodo, «qualche nuovo strumento nella cassetta degli attrezzi che ogni sacerdote si porta in confessionale» – vale a dire, per esempio, la concessione ai divorziati della possibilità di fare il padrino o la madrina a un battesimo. Il parroco aggiunge però che da quando Bergoglio è stato eletto papa è stato «come se avesse accorciato di un colpo le distanze con la gente. I gesti, le tenerezze, il parlare chiaro, cose che catturano subito. Mi sono trovato a confessare persone che non vedevo da tempo». Il Sinodo si concluderà domani, domenica 19. Oggi, sabato 18 ottobre, sarà votata dai vescovi una versione emendata del documento pubblicato a metà del Sinodo, che diventerà la relazione ufficiale.
Quello che mi auguro è di avere qualche nuovo strumento nella cassetta degli attrezzi che ogni sacerdote si porta in confessionale». Sarebbe a dire? «Ma sì, qualche scelta in più di accompagnamento per le persone che cercano il Signore nonostante si siano messe fuori dalla sua legge. Penso ai divorziati risposati, alla possibilità di concedere loro di fare il padrino o la madrina a un battesimo, o di inserirli nei servizi di educazione ecclesiastica ». Ma non è poco, don Domenico? Padrino o madrina a un battesimo: tutto qui?
Ormai ci sono più cinesi che cattolici, l’Islam è diventata la religione più diffusa e l’85 per cento degli italiani non va a messa. Il mondo cambia a velocità supersonica, la Chiesa no. Papa Francesco l’ha capito il giorno stesso che è stato scelto, o è stato scelto proprio perché l’ha capito: in un anno e mezzo ha dato più di una scossa a questa sua Chiesa lenta. L’ultima, piuttosto fragorosa, è appunto la convocazione del Sinodo straordinario sulla famiglia: 253 vescovi chiamati a confrontarsi «con umiltà» su un terreno altamente infiammabile come il sesso e le conseguenze pratiche, di relazione, dell’amore.
Il tutto ben sintetizzato proprio su Repubblica da Angelo Scola, arcivescovo di Milano e Papa per qualche giorno prima della fumata bianca per Bergoglio: «Il confronto con la rivoluzione sessuale in atto è una sfida non inferiore a quella lanciata dalla rivoluzione marxista». Strumenti per raccogliere la sfida? «Ascoltare il mondo, aprire le porte, altrimenti il mondo non ascolterà più noi», indica con pragmatismo Adolfo Nicolàs, il capo dei gesuiti, non a caso i confratelli di Francesco, motore mobile di questa esigenza di dialogo, di questa urgenza di aggiornare il linguaggio, di prestare più attenzione alle aperture caritative che alle crudezze dogmatiche. Come può resistere una religione chiusa nelle sue verità in un mondo dove le connessioni dei cellulari hanno superato il numero di abitanti del pianeta?
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foto: AP Photo/Gregorio Borgia