In difesa di Obama
Paul Krugman – uno dei suoi più severi e autorevoli critici da sinistra – ha spiegato in un lungo articolo perché è «uno dei presidenti più di successo della storia americana»
L’ultimo numero dell’edizione americana del magazine Rolling Stone dedica il servizio di copertina a una lunga e argomentata apologia dell’operato del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, a sei anni dalla sua elezione e poche settimane dalle prossime elezioni di metà mandato. Già questo sarebbe in qualche modo una notizia, di questi tempi: la popolarità di Obama è scesa parecchio nell’ultimo anno e molti – sia da destra che da sinistra – hanno criticato le sue decisioni, soprattutto quelle di politica estera. La cosa ulteriormente rilevante è che l’articolo è stato scritto da Paul Krugman, 61enne noto economista e professore di Economia, vincitore del premio Nobel per l’Economia nel 2008 e uno fra i più famosi editorialisti del New York Times; ma soprattutto uno dei più ascoltati e severi critici di Obama da sinistra, soprattutto sui temi economici, sin dai primi mesi della sua elezione. Sei anni dopo, su Rolling Stone, Krugman lo definisce «uno dei presidenti più importanti e di successo della storia americana».
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— Eric Wolfson (@EricWolfson) October 13, 2014
Krugman si è spesso lamentato delle riforme economiche di Obama (ritenendole insufficienti e poco incisive), della sua vicinanza con Wall Street e della sua tendenza a cercare un compromesso con i repubblicani. Già durante la campagna elettorale dei democratici, fra il 2007 e il 2008, Krugman diede il proprio sostegno prima a John Edwards e poi a Hillary Clinton. Nel 2009, dopo l’elezione di Obama, si mise simbolicamente a capo dei suoi critici a sinistra grazie all’apparizione su una famosa copertina di Newsweek, il cui servizio di copertina era intitolato “Obama si sbaglia”. Quel numero di Newsweek conteneva una specie di lunga intervista-profilo di Krugman (che negli anni successivi ha previsto – sbagliandosi – l’uscita della Grecia dall’euro, e ha criticato molto duramente le scelte europee in materia economica, parlando dell’euro come di una cattiva idea).
Già negli ultimi mesi però, come riporta Bloomberg, Krugman ha più volte “rivalutato” Obama sul New York Times, sottolineando già nel dicembre del 2013 l’efficacia della riforma sanitaria – entrata in vigore appena due mesi prima – e lodando nel giugno del 2014 i suoi provvedimenti a difesa dell’ambiente, arrivando a scrivere che «c’è una buona possibilità che il 2014 sarà considerato uno di quegli anni in cui gli Stati Uniti hanno compiuto una decisa virata verso la giusta direzione».
Su Rolling Stone Krugman elenca innanzitutto alcuni fattori contestuali che hanno ostacolato Obama nel corso degli anni, spiegando che i suoi critici devono tener conto del fatto di «tutte le difficoltà politiche che ne hanno condizionato e ristretto i propri sforzi, anche quelli più modesti»: il riferimento è all’aggressiva campagna ostruzionistica condotta dai repubblicani su molte delle misure approvate da Obama, che negli anni hanno condotto al rischio del cosiddetto fiscal cliff alla fine del 2012, allo shutdown del governo per 16 giorni nell’ottobre del 2013, ma soprattutto alla critica sistematica – portata avanti ancora oggi – dei repubblicani nei confronti della riforma sanitaria, approvata con molta fatica nel 2010 (e definita legale da una sentenza della Corte Suprema nel 2012) ed entrata in vigore fra mille problemi nell’ottobre del 2013. Krugman, inoltre, consiglia di non prestare attenzione al tasso di popolarità di Obama, dato che negli ultimi anni le posizioni politiche degli americani si sono polarizzate e che in generale circola molta più sfiducia nella classe politica rispetto al passato.
Krugman passa poi ad elencare i successi di Obama, che articola in sei campi.
1) La riforma sanitaria: nonostante lasci ancora milioni di persone fuori da ogni copertura sanitaria – fra questi, gli immigrati clandestini e le persone che vivono negli stati che grazie alla decisione della Corte Suprema hanno potuto decidere di non espandere il Medicaid, il programma federale per i cittadini più poveri – è stato stimato che circa 10 milioni di persone che prima non avevano nessun tipo di copertura sono state integrate nei programmi previsti dalla riforma. Secondo Krugman, è un fatto che nei prossimi due anni questo numero «aumenterà notevolmente».
Krugman spiega che la riforma sanitaria è stata un successo anche dal punto di vista economico: l’aumento del costo per le cure sta generalmente rallentando, anche grazie alle politiche di controllo federali. Insomma, secondo Krugman quella della riforma sanitaria è diventata «la storia di un grande successo politico», smentendo molte delle polemiche portate avanti dai repubblicani in questi anni: più persone vengono curate e con un costo minore per lo Stato.
«I repubblicani si stanno tuttora affannando ad attaccare l’Obamacare, ma la passione non cui lo facevano è svanita. Stanno persino offrendo ambigue rassicurazioni sul fatto che gli americani non perderanno i privilegi acquisiti di recente. Quando Obama finirà il proprio mandato, ci saranno decine di milioni di persone che avranno beneficiato direttamente della riforma, condizione che sarà praticamente impossibile da rimuovere. La riforma sanitaria ha reso insomma gli Stati Uniti un posto migliore in cui vivere».
2) I provvedimenti finanziari: Krugman si lamenta con Obama perché in sostanza è stato troppo morbido con le banche e altre istituzioni finanziarie («nessuna figura importante è andata in prigione; banche come Citigroup e Goldman si sono comprate una via d’uscita piuttosto pulita»). Ma riconosce anche che la legge finanziaria Dodd-Frank del 2010 ha avuto un effetto molto più positivo di quanto ci si potesse aspettare: le legge prevedeva l’istituzione di un registro di systemically important financial institutions (abbreviate in SIFI: cioè aziende che in caso di fallimento produrrebbero effetti su tutto il sistema) che prevedesse, per le aziende che ne facessero parte, alcuni vincoli federali per potere avere accesso ad aiuti economici da parte del governo.
In molti – fra cui il candidato presidente repubblicano Mitt Romney, che la definì «il più notevole bacio alle banche di New York che abbia mai visto» – la criticarono giudicandola troppo sbilanciata a favore delle banche. A quattro anni dalla sua approvazione, spiega Krugman, le aziende hanno dimostrato di temere di finire dentro all’elenco delle SIFI: segno che la legge va nella giusta direzione. Krugman elogia inoltre la creazione della “Consumer Financial Protection Bureau”, un’agenzia creata nel 2011 a partire da un progetto della senatrice democratica di sinistra Elizabeth Warren: l’agenzia, finora, è riuscita a tutelare con efficacia cittadini che hanno contratto dei prestiti a condizioni irregolari o eccessivamente svantaggiose.
3) Varie riforme economiche: in sintesi, il ragionamento di Krugman è che Obama poteva fare molto meglio. Poteva espandere le misure di stimolo all’economia e cedere meno alle richieste dei repubblicani (che però controllano la Camera: manca il come, in questo caso). In ogni caso, però, il tasso di disoccupazione è sceso dal 10 per cento del 2009 al 5,9 per cento del settembre 2014, contrariamente a quanto sta avvenendo in Europa. Inoltre, una delle promesse di Obama dal punto di vista economico è stata mantenuta:
«I ricchi stanno pagando tasse più alte, grazie al fatto che alcuni tagli promossi da Bush sono scaduti e alle tasse sui redditi più alti per rendere sostenibile la riforma sanitaria: l’ufficio del Congresso che si occupa del budget ha stimato che l’1 per cento più ricco della popolazione nel 2013 ha pagato in media il 33,6 per cento di tasse, mentre nel 2008 circa il 28,1 per cento».
4) Alcune riforme ambientali: nonostante una legge che regolamentava l’emissione dei gas serra sia stata abbandonata in seguito alla vittoria dei repubblicani nelle elezioni di metà mandato del 2010, l’amministrazione Obama è riuscita ad aumentare la percentuale di energia solare ed eolica impiegata a livello nazionale e soprattutto ha dotato di nuovi poteri l’EPA, l’agenzia governativa per la protezione ambientale: la quale questa estate ha emesso un provvedimento per la riduzione progressiva dell’emissione di anidride carbonica da parte delle centrali che forniscono energia (fra cui quelle a carbone).
5) Questioni di sicurezza nazionale: Obama, specialmente negli ultimi mesi, viene spesso criticato per aver gestito male i problemi relativi alla guerra civile siriana e al contenimento dell’avanzata dello Stato Islamico. Spiega Krugman:
«Soprattutto in politica estera, Obama si è comportato essenzialmente come un “normale” presidente post-Vietnam: ha evitato di utilizzare truppe di terra e anzi ha cercato di ritirarle evadendo precedenti accordi, preferendo bombardare dall’alto chi ostruiva o minacciava gli interessi americani. Ha anche difeso le prerogative dell’NSA e della pervasività dello stato in generale»
Il fatto, secondo Krugman, è che se al posto di Obama ci fosse stato qualcun altro le cose sarebbero potute andare molto peggio.
«Se anche Obama fosse un presidente nella norma per quanto riguarda la sicurezza nazionale, questo è un grande passo avanti considerando chi abbiamo avuto prima e cosa sarebbe successo se John McCain e Mitt Romney fossero diventati presidenti. È difficile essere entusiasti di una politica così poco interventista, ma è d’obbligo confrontarla con quella che poteva essere la sua alternativa»
6) Cambiamento sociale: in questi anni, spiega Krugman, gli Stati Uniti sono diventati una nazione «più aperta e tollerante». Il problema è che Barack Obama, sul tema, «è stato più un follower che un leader». Ma di nuovo, Krugman invita a non dare per scontata una cosa del genere, implicando che le cose sarebbero state ben diverse se un altro presidente si fosse messo di traverso. In questo modo, inoltre, l’intero Partito Democratico statunitense ha potuto accogliere temi come il riconoscimento dei diritti delle donne e degli omosessuali, uscendo dallo stallo degli scorsi decenni e vincendo battaglie politiche che sembravano proibitive.
Conclude Krugman:
«Non mi interessa che Obama non abbia mantenuto le radiose promesse del 2008, e ancora meno mi interessa il suo tasso di popolarità. Resta il fatto che alla fine di chiacchiere ed eventi, abbia ottenuto davvero un sacco di cose».
foto: SAUL LOEB/AFP/Getty Images