Hannah Arendt e i totalitarismi
Nata il 14 ottobre 1906, fu una grande saggista e scrittrice, tra le più note nella storia della filosofia occidentale
Hannah Arendt, storica e scrittrice tedesca, è una delle autrici più conosciute e studiate nella storia della filosofia occidentale, e la sua opera molto legata alla storia del Novecento. Nata il 14 ottobre di 108 anni fa – oggi è ricordata anche nel doodle di Google – e morta nel 1975, è stata allieva di grandi filosofi come Edmund Husserl e Martin Heidegger, ed è principalmente nota per le sue riflessioni sull’Olocausto e sui tedeschi nazisti che ne furono responsabili: questi suoi pensieri furono principalmente esposti in uno dei suoi saggi più citati, La banalità del male, del 1963, in cui raccontò il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann negli anni Sessanta.
Arendt scrisse molti altri saggi analizzando la natura del potere, i meccanismi che portano al totalitarismo e più in generale temi come l’autorità e la politica. In Le origini del totalitarismo, testo che inizialmente fu molto discusso e criticato, risalì alle cause e alle condizioni che resero possibili lo stalinismo e il nazismo, trovando legami con l’antisemitismo. Benché preferisse definire i suoi testi di teoria politica e non filosofici, Hannah Arendt è studiata ancora oggi come filosofa grazie ai suoi lavori di critica sui filosofi classici come Socrate, Platone e Aristotele e su quelli più moderni da Immanuel Kant a Martin Heidegger.
Hannah Arendt nacque a Linden – area urbana che oggi fa parte del comune tedesco di Hannover – il 14 ottobre del 1906 in una famiglia ebraica, che in seguito si trasferì a Könisberg (Kaliningrad, dopo l’annessione da parte dell’Unione Sovietica nel 1946) e a Berlino. Presso l’Università di Marburgo, Arendt studiò filosofia entrando in contatto con il filosofo Martin Heidegger, che avrebbe influenzato parte dei suoi lavori di analisi di teoria politica. Si dice che i due ebbero una relazione sentimentale piuttosto tormentata, che costò anche qualche critica ad Arendt per la decisione di Heidegger di sostenere nei primi tempi l’ascesa del partito nazista.
Verso la fine degli anni Venti, Arendt si trasferì ad Heidelberg dove lavorò alla sua tesi sul filosofo esistenzialista e psichiatra Karl Theodor Jaspers e sul concetto di amore nell’opera di Sant’Agostino. Nel 1929 si sposò a Berlino con Günther Stern – dal quale avrebbe poi divorziato otto anni dopo – e pubblicò la propria tesi. Hannah Arendt mirava a diventare docente universitario, ma non ottenne l’abilitazione dal regime nazista perché era di origini ebraiche. All’inizio degli anni Trenta iniziò a interessarsi dei temi legami all’antisemitismo, esponendosi molto e finendo nelle mire della Gestapo, che la fece imprigionare per alcuni mesi nel 1933.
In seguito al suo arresto, Hannah Arendt lasciò la Germania e cercò rifugio a Parigi, dove entrò in contatto con il filosofo e scrittore Walter Benjamin. Si diede da fare per aiutare diversi rifugiati ebrei e nel 1937 il regime nazista le tolse la cittadinanza tedesca. Nel 1940, dopo essersi sposata con il poeta tedesco Heinrich Blücher, fu internata nel campo di Gurs dai nazisti, che avevano occupato militarmente parte della Francia. Riuscì a fuggire dal campo dopo poche settimane e nel 1941 lasciò la Francia con un visto falso che le permise di raggiungere gli Stati Uniti.
A New York, Arendt divenne piuttosto attiva nella comunità ebraica della città, scrivendo articoli e riflessioni sulla condizione degli ebrei e sull’antisemitismo. Nell’immediato dopoguerra tornò in Germania e avviò un’intensa collaborazione con l’organizzazione sionista Youth Aliyah, che durante la guerra aveva salvato migliaia di bambini dall’Olocausto. Negli anni Cinquanta Hannah Arendt fu naturalizzata negli Stati Uniti e iniziò a insegnare e a collaborare con numerose università da Berkeley a Yale passando per Princeton.
Negli anni dell’insegnamento scrisse numerosi saggi come Vita Activa. La condizione umana in cui analizzò la dimensione umana di ciò che è politico: “agire” per Arendt significa «prendere un’iniziativa, incominciare, mettere in movimento qualcosa» e questo “agire” è “politico” perché visto e rilanciato dagli altri (presuppone insomma una pluralità di esseri umani). Per far capire che ogni azione è un inizio, Arendt adopera un’immagine molto forte, quella della “nascita” contrapponendosi dunque a tutta la tradizione filosofica precedente centrata sulla figura della morte: quando un essere umano nasce, rompe con l’eterno ritorno dell’uguale perché apre un imprevisto nel mondo. Il solo fatto di nascere dà il via a uno spazio di libertà inedito, simile all’inizio dell’agire. Per questo suo mettere al centro e lavorare alla categoria della nascita Arendt (che non si è mai definita femminista) è diventata una pensatrice fondamentale per le teoriche del movimento femminista in Italia e nel mondo.
Per il New Yorker Arendt scrisse una serie di resoconti sul processo al gerarca nazista Eichmann, che furono poi raccolti e riorganizzati nel libro La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme, il suo saggio più famoso pubblicato nel 1963. Nel suo libro, Arendt teorizza che la mancanza di memoria e l’incapacità di avere un dialogo con se stessi – per rielaborare i propri pensieri e le cose che si fanno – possono portare persone tutto sommato ordinarie a compiere azioni terribili e malvagie. Nel caso della Germania nazista, il fenomeno portò molti individui a non sentirsi responsabili dei loro crimini e permise a buona parte della popolazione di essere condiscendente con il regime.
Hannah Arendt morì a New York il 4 dicembre del 1975 per un attacco cardiaco: aveva 69 anni. I suoi saggi sono letti e studiati nelle scuole e nelle università in giro per il mondo, e ancora oggi sono al centro dei dibattiti sull’analisi storica e filosofica della prima metà del Novecento.