Quelli che puliscono Genova
Non sono simboli, né promesse, né macchiette, scrive Adriano Sofri: sono quelli che puliscono Genova
Su Repubblica di oggi Adriano Sofri ha scritto dei numerosi volontari che nei giorni scorsi hanno partecipato alle operazioni di soccorso, di assistenza e di pulizia delle strade a Genova, in seguito all’alluvione; e che – in questo caso e in altri casi del genere – vengono frequentemente descritti dalla stampa nazionale come una “rivelazione di qualcosa”, un fenomeno da leggere e interpretare simbolicamente prima ancora che materialmente e basta. Eppure questi gruppi di giovani volontari sono in Italia una presenza costante da decenni, fa notare Sofri, e valgono innanzitutto per quello che fanno concretamente adesso – pulire Genova – che è un fatto: non una promessa né un simbolo.
Nelle belle cronache di una bruttissima storia ritornano gli angeli del fango. Non c’è stato bisogno di riandare all’origine, le magliette con “Non c’è fango che tenga” avevano tre anni, è bastato rimettersele e trasformare un privato ricordo in indumento utile e bandiera pubblica.
Gli angeli del fango sono in realtà una leva perenne nel nostro Paese. Il confronto letterario, estetico, civile con l’origine, il novembre 1966 della spaventosa alluvione fiorentina, è pieno di suggestioni, ma c’è prima di tutto un pensiero che vale la pena di proporre.La Firenze di allora, mezzo secolo fa, le decine di morti, le file di ragazzi che si passavano i volumi alla Biblioteca Nazionale (dove ancora quando piove forte si bagna la Sala manoscritti…), il Crocifisso di Cimabue, le migliaia di giovani accorsi da tutto il mondo (nel 2006, per il quarantennale, ben 10 mila furono identificati per nome e convocati, e nel 1966 non c’erano cellulari e mail e Facebook, e nemmeno la luce, e le notizie le davano i radioamatori…) furono visti subito come una rivelazione di qualcosa che incubava e cui la tragedia aveva offerto l’occasione per annunciarsi. E sempre più, dopo, questa fu l’interpretazione: una nuova generazione internazionale, data ancora nei paleosondaggi italiani come tutta casa famiglia e chiesa e aspirazione al posto nel parastato, si era data un appuntamento preliminare, una prova generale dell’entrata turbinosa in scena del Sessantotto, della tentata rivoluzione.
Esattamente all’inverso, si è tentati ora di guardare le figure e ascoltare le parole dei giovani nel fango genovese come la rivelazione di qualcosa che si è consumato per intero, la speranza e perfino il desiderio di una rivoluzione e della stessa passione per la politica. A Firenze 1966 gli angeli del fango prima della rivoluzione sognata, a Genova 2014 gli angeli del fango dopo la rivoluzione mancata. Angeli con lo sguardo rivolto al futuro i primi, angeli con lo sguardo voltato alla rovina del passato i secondi. Vorrei dire che, per quanti appigli fondati queste sensazioni abbiano, esse tuttavia fanno torto a una bellezza comune a queste immersioni generose nel fango, che non valgono per un prima o per un dopo, ma per sé, per l’alternativa che realizzano oggi, e ogni volta che sono costrette a ripetersi.
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Foto: Arata Palli/LaPresse